Le storie di ISAL

Le storie di Paola: la storia di Annamaria

Ciao a tutti da NOI QUELLI DEL DOLORE CRONICO, la storia di questa settimana riprende il problema dell’errore medico non riconosciuto nella sua gravità e, soprattutto, nelle immense conseguenze che può causare. Segue ancora una volta abbandono e disinteresse per il paziente. Qualcuno potrebbe pensare che parliamo sempre delle stesse problematiche. Purtroppo è proprio così: la storia di uno è frequentemente la storia di tutti.

ECCO LA NOSTRA STORIA

1969, un secolo fa. L’anno delle mie prime mestruazioni, l’anno del mio primo dolore alla schiena. Il mio medico disse che, per noi donne dipendeva tutto da “lì”. Io avevo la scoliosi ma nessuno se ne accorse. Mia madre, sola, mi credeva. Mi lasciava il posto in autobus, mi chiamava un taxi quando ero troppo dolorante per camminare. Per tutti ero solo una bambina viziata.
Per anni ho invidiato quelli che potevano fare lunghe passeggiate senza avvertire quella cintura di ferro intorno alla vita.
Dopo due parti la situazione peggiora. Mio marito mi porta dagli specialisti. “Signora lei non ha assolutamente nulla ! Faccia un po’ di punture e passerà” 1993. Cerco di raccogliere un giornale da terra e rimango bloccata. Non mi spavento. E’ il
colpo della strega, succede a tanti ! 4-5 giorni di Voltaren e Muscoril e torno come nuova. Ma l’episodio si ripete, prima a distanza di mesi, poi sempre più frequente. E i periodi di dolore e di immobilità, così come le guarigioni diventano sempre più lunghi e difficili. Si scopre una piccola ernia, non espulsa. Mi dicono che è impossibile che quella sia la causa. Inizia un vortice di visite specialistiche, ortopedici, neurologi, tentativi di cure di ogni tipo e soldi, tanti soldi, ma nulla.

Approdo al Centro del dolore di Careggi (Firenze). Le persone sono straordinarie ma le cure inefficaci. Per loro l’ultima spiaggia sono delle infiltrazioni a base di cortisone e lidocaina ma l’effetto di queste è far sparire il dolore per 24 ore, non più.
Poi mi viene consigliato il dott. M. B. B di Milano. E’ famoso per essere il primo ad aver operato l’ernia del disco in laparoscopia. Primo viaggio della speranza. Mi visita e dice che ha visto schiene più brutte della mia che non hanno il mio dolore, ma gli servono altri accertamenti. Mi ricovera al Galeazzi e, in sala operatoria mi sottopone ad una “discografia provocativa” cioè, da sveglia, mi inietta un liquido nella schiena per provocare il dolore. Urlo come una pazza. Sì il dolore è quello. Poi mi ingessa da sotto il seno alle anche. “Proviamo, vediamo come va, tenga il gesso per 15 gg” Mi spogliano, mi stendono su 2 assi come Cristo in croce e mi avvolgono di bende, su bende bagnate. Nella stanza entrano ed escono infermieri come se non esistessi. Tremo dal freddo e dall’umiliazione. Quando mi riportano in camera , cerco di mangiare qualcosa ma mi succede un fenomeno strano. Non sento più le braccia, come se fossi paralizzata, non riesco a muoverle. La mia vicina di letto, grida terrorizzata , chiama un medico. Non c’è nessuno. L’assistente del dottore manda a dire che mi mettano in piedi e mi facciano camminare. Funziona. Piano, piano le braccia riacquistano sensibilità. Questo episodio mi verrà rinfacciato più volte come prova della mia pazzìa: “lei il dolore ce l’ha nel cervello, non nella gamba!”.

Torno a Firenze e sopporto questa specie di sarcofago in cui sono imprigionata per 15 giorni. Poi me lo tolgono. Non è cambiato nulla, il dolore è lo stesso. Il commento dello specialista è “ Allora bisogna operare”. Mi dice che non è un intervento difficile ma delicato. Preleverà dell’osso dall’anca e lo metterà in una specie di gabbietta che poi inserirà fra L4 e L5. Fisserà il tutto con 4 viti in titanio. Sono terrorizzata ma lui dice che, dato che non sono in menopausa, andrà tutto bene e poi, dato che faccio un lavoro sedentario (sono un’insegnante), al massimo in 2 mesi tornerò al lavoro. Ci penso tanto, ho paura, chiedo consigli ma nessuno me li sa dare. Infine nel maggio del 2001 abbraccio in silenzio i miei alunni ed esco dall’aula. Non ci rientrerò più. L’intervento, fra anestesia e tutto, dura 6 ore. Quando mi sveglio il dolore è atroce ma passeranno molte ore prima che mi diano un antidolorifico. E il giorno dopo la tragedia. Viene un medico a visitarmi e mi dice di sollevare la gamba sinistra. Io fisso la punta del piede e concentro tutte le mie forze ma la gamba rimane immobile. Provano a mettermi in piedi ma mi affloscio come un sacco vuoto. E’ chiaro che qualcosa è andato male ma nessuno lo ammette. Incontro un paziente, operato come me, ingessato come me che però aveva avuto sollievo da quell’ingessatura. Aveva avuto la mia stessa diagnosi “Bisogna operare” Allora cos’era? Un esperimento? Una presa di giro?

Solo mesi e mesi di fisioterapia riusciranno a rimettermi in piedi. La gamba recupera la forza ma il dolore è sempre molto forte. Zoppico, giro disperatamente da un medico all’altro senza risultati, vado in depressione. Poi nel 2003 mio marito mi convince a tornare al lavoro ma non più come insegnante, non ce la faccio. Mi danno un’utilizzazione in segreteria in una scuola vicino casa. La commissione medico-legale scrive “ Assolutamente e permanentemente inidonea all’insegnamento” Ogni parola è una coltellata. Mi impegno nel nuovo lavoro ma non riesco ad entrare in una classe. La vista dei bambini mi fa scoppiare a piangere, i colleghi mi odiano considerandomi una privilegiata (!). Ma non mi arrendo. Durante i miei consulti scopro che una delle viti è più lunga di quel che dovrebbe essere di qualche mm e quindi comprime la radice nervosa. Mi rivolgo ad un’eminenza, il primario del Rizzoli di Bologna che mi consiglia di “smontare “ tutto l’apparato ma si rifiuta di operarmi dicendomi con molta onestà, che “l’ultimo ha sempre torto”. Così non mi resta che tornare a Milano. Il dottor M.B.B accetta di rioperarmi ma, precisa, senza nessuna garanzia. Nel 2004 vengo rioperata. Mi dice che ha tolto dell’osso intorno alla radice nervosa ed ha fissato la struttura con altre due viti. Poi mi dice “IO ora, non ho più niente a che fare con lei”. L’operazione risulta del tutto inutile. Un altro fallimento.
Torno alla clinica del dolore di Firenze. Lì mi imbottiscono di oppiacei (Oxycontin nella dose di 160 mg al giorno) e poi antidepressivi, antiepilettici, antinfiammatori….. ma l’unico sollievo è il riposo. Ingrasso tantissimo e mi deprimo ancora di più. Seguono anni difficili. Il dolore a volte si attenua ma solo alla schiena, alla gamba non cambia nulla. Qui i miei ricordi si confondono. Ricordo altri 2 tentativi (termorizotomia e peridurolisi – radiofrequenza gangliare) accompagnati da dosi da cavallo di Toradol e Dicloreum che mi danno sollievo solo per qualche giorno. Ricordo l’impianto di un elettrostimolatore esterno che mi provoca un fastidio terribile e nessuna azione sul dolore, che mi viene tolto dopo 12 giorni. Per sentire di meno il dolore devo stare il più possibile a riposo: una passeggiatina di dieci minuti al mattino, due ore a letto nel pomeriggio, qualche attività domestica, poi intorno alle 18 non sono più in grado di fare nulla. Mi segue una psicologa, mi danno antidepressivi ma io sento che la mia vita è finita. La rabbia e l’odio che provo mi spinge a denunciare questo medico e l’ospedale. Dopo 2 anni vinco la causa ma non mi viene riconosciuto il danno morale e solo una parte di quello fisico, quindi mi ricompensano con una cifra poco significativa.
Nel 2014 mi viene consigliato di rivolgermi alla clinica del dolore di Pisa dove installano un elettrostimolatore ad alta frequenza che elimina il dolore ma non porta il fastidio del formicolìo come gli elettrostimolatori di vecchio tipo. Oppure si può installare nell’addome una pompa che rilascia, tramite un catetere, Zyconotide o morfina . Ciò dovrebbe consentire di eliminare o almeno a sostituire in parte tutte le medicine che prendo, ma, come al solito, senza nessuna garanzia. Aggiungo che, oltretutto, il mio medico curante è molto preoccupato per l’enorme carico di medicinali che assumo quotidianamente e sostiene che non posso assolutamente continuare così per tutta la vita, anzi mi suggerisce di ricoverarmi in ospedale per fare una disintossicazione completa.
Accetto la sfida e parto per l’ennesimo viaggio della speranza. Mi sconsigliano subito l’elettrostimolatore (visto che ho già provato senza risultati) ed iniziano a scalarmi l’ossicodone con il Palexia. Ma io ho tanta paura della pompa, paure anche stupide come che si possa vedere attraverso i vestiti. Parlo con la psicologa più volte ed anche con un paziente che la porta da 15 anni e che ha visto cambiare la sua vita (ma il suo non era un dolore neuropatico). Mi convinco ed entro per l’ennesima volta in sala operatoria dove mi viene costruita una “tasca” nella pancia in cui viene infilata la pompa. Non verrà più rimossa ma solo ricaricata di morfina con una siringa, all’incirca ogni mese. Dall’ottobre 2015 fino al febbraio del 2019 è stato un lento e graduale aumento delle dosi di
morfina. Ma i risultati non sono quelli sperati. Non è vero che avrei abolito tutte le medicine. Mi rimangono gli anticonvulsivanti, gli antidepressivi, le benzodiazepine e gli antidolorifici per i momenti più difficili. Ho un miglioramento alla schiena ma alla gamba nulla come sempre.

Sono passati tanti anni e la vecchiaia fa il resto. Artrosi dell’anca, necessità di plantari e scarpe ortopedici, cateratte precoci, tiroidite, ernia iatale con reflusso gastrico, febbri frequenti di origine sconosciuta che diversi ricoveri non riescono a scoprire. Dulcis in
fundo il giorno 3 dicembre 2018 vengo ricoverata d’urgenza all’Ospedale di Prato per febbre alta e difficoltà respiratoria. Lì mi viene diagnosticata una brutta polmonite ma, subito dopo i medici insistono per farmi fare una coronografia. che mette in evidenza 2 coronarie quasi totalmente ostruite, quindi si procede con l’angioplastica. Pare che la causa sia un colesterolo genetico, trascurato per anni che ha riempito le mie arterie di placche. Così le medicine aumentano e sono anche costretta ad eliminare tutti gli antidolorifici che mi davano qualche ora di sollievo per non procurare un sanguinamento. Non ne posso più della morfina, voglio toglierla, tanto mi aiuta veramente poco. Nel febbraio 2019 inizio la disintossicazione eliminandola goccia a goccia. Ci vuole un anno per arrivare agli ultimi 0,5 mg (un’inezia !). Ma è proprio quando mi tolgono questi ultimi che accade quello che non mi darei mai aspettato: la crisi d’astinenza. Dolori in tutto il corpo , soprattutto alla schiena e alla gamba. Odori nauseabondi che provengono da tutto il mio corpo, non posso neanche piangere. Nausea che mi impedisce di mangiare, prurito insopportabile. Aspetto, trascinandomi fra letto e poltrona. Aspetto il 17 marzo giorno fissato per iniziare a riempire la pompa con lo ziconotide (non oppiaceo). Ma scoppia l’emergenza Corona virus. Da Pisa mi proibiscono di muovermi da casa. Intanto mi prescrivono morfina orale che dovrebbe aiutarmi a superare la crisi ma sono più di 15 giorni che sto malissimo e la morfina mi fa solo dormire. Quanto durerà questo calvario ? Ne ho superate tante ma stavolta sento di non farcela. Mi sento abbandonata. Allora prego. Prego che tutto finisca al più presto, per sempre.

Vorrei che fosse questa l’ultima pagina della mia storia.

2 pensieri riguardo “Le storie di Paola: la storia di Annamaria

  • Andriolo luisa

    MI.DISPIACE TANTO…PREGO PER TE!!!…PREGHIERE!!.. DIO TI AIUTI

  • silvia ricciardelli

    Leggo le storie di malati cronici gravi come me e non mi sento sola.
    Pero’ mi rendo conto che nessuno di noi ha mai raggiunto risultati o risolto parte dei suoi problemi..
    E’ triste perchè per noi significa continuare una NON VITA!!

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