Le storie di ISAL

Le storie di Paola: la storia di Caterina

Ciao a tutti,

eccoci ancora con una storia che, casualmente, in questo momento mi tocca molto da vicino pur rappresentando la normalità. La depressione scambiata per causa del dolore tanto da rischiare di dover rinunciare alle cure che potrebbero, invece, attenuare proprio quel senso di tristezza totalizzante che è causata dal dolore e non ne è certo la causa.

Ecco la storia di Caterina

 

Molto difficile sintetizzare 34 anni di sofferenza, ci provo per questa giusta causa.

Nel 1985 un cesareo d’urgenza dove, per incompetenza medica, io e la mia bimba abbiamo rischiato la vita. L’inizio di un incubo con 14 giorni di ritardo dalla data presunta del parto, perdite da 10 giorni e dolori lancinanti. Il mio ginecologo dopo avermi visitato in ospedale mi rimandava al giorno successivo perché secondo lui non ero ancora in travaglio. Per mia fortuna (nella sfortuna) arrivò un altro medico che mi volle visitare e come un tornado che mi scaraventava in un vortice, assistetti ad una lite furibonda con insulti pesanti tra dottori. Mi rimangono in mente queste parole: “qui rischia anche la madre con un feto senza battito”. Immaginate come mi sentissi. Catapultata in sala operatoria, sola senza nessun parente vicino, dicevo le mie ultime preghiere, ma dentro di me una vocina sussurrava: “come possono dire che non sentono il battito se io avverto un cuoricino che ogni tanto batte? Come possono dire che è morto?”. La mia sensazione per grazia divina era giusta, così nacque la mia bambina. Non riuscivano a svegliarmi dall’anestesia e quando finalmente aprii gli occhi mi sentivo come se sul mio petto fosse passato un tir, con difficoltà a respirare, mi sollevavano con forza dicendomi che dovevo alzarmi. Non avevo la forza di dire una parola, solo mi sentivo morire. Quando si resero conto che ero cianotica desistettero e ancora intontita riuscii a sentire qualcuno che diceva: “ma non c’è neanche suo marito?” (seppi dopo ore che mio marito era stato allontanato “molto cortesemente” dalle suore). Per farla breve iniziò il mio calvario. Per ben 13 anni ho avuto dolori al basso ventre, come se la vescica mi venisse strappata e in contemporanea dolori lombari e alle gambe; visite ginecologiche e altre a non finire, prima con il SSN poi, visti i risultati, in privato, l’esito era sempre lo stesso: “va tutto bene, è un fattore psicologico, lei è depressa!”. Negli anni peggioravo, emorragie continue, non ero più in grado di fare una semplice salita. Il mio medico curante mi prescriveva Sereupin, Lexotan e qualche analgesico, ma unicamente con effetti collaterali e dolori sempre presenti. Consultai l’ennesima ginecologa privata che diagnosticò un utero fibromatoso. Nel 1995 fui ricoverata con dolori alla schiena, tremori e dolori addominali. Trattata come una schizofrenica sentii un “dottore” che derideva il mio medico curante, dicendo che non aveva ancora capito che potevo essere un’alcoolizzata in crisi d’astinenza (anche questo ho dovuto subire); avevo un’emorragia e gli chiesi gentilmente se potesse visitarmi. In malo modo mi rispose che lo avrebbe fatto quando avesse avuto tempo! Con fatica mi trascinai in bagno e lì probabilmente ebbi un aborto spontaneo, (avevo 24 giorni di ritardo, stranamente perché ero sempre mestruata). Nell’indifferenza totale non si preoccupò di farmi visitare da un ginecologo e mi “curò” con Prozac e altri antidepressivi per una settimana. Fui dimessa con diagnosi di depressione e con tutti i miei dolori. Altri 3 anni di supplizio e arrivò il 1998. Ennesima emorragia, visitata in privato dalla ginecologa che mi disse che si trattava di un aborto, ma sarebbe stata necessaria un’isterectomia per via dell’utero fibromatoso e molto ingrossato. Diagnosticarono anche un ipertiroidismo. Mi misero in lista ma dovetti aspettare 6 mesi. Per disperazione (sempre in privato) mi affidai ad un “ospedaletto” dove un medico chirurgo che arrivava da Torino mi visitò e mi ricoverò d’urgenza per l’intervento (sottolineo che questo ospedale non era abilitato per questo tipo di attività, infatti fui la prima e unica paziente ad averlo affrontato in quel posto). Isterectomia fatta con procedura diversa da quella concordata, addome inferiore aperto da ombelico a pube, comunque giustificavano dicendo che non avrebbero potuto fare altrimenti avendo evidenziato diverse aderenze causate dal precedente intervento. Sperai che i miei problemi fossero risolti, ma fu l’inizio di un’altra odissea; febbre alta per una settimana con forti dolori alla schiena e alle gambe. Mi abbandonarono a me stessa perché il chirurgo era ad un convegno a Torino e gli altri medici dicevano che non potevano fare nulla perché non ero una loro paziente (ma ero in un ospedale pubblico!). Risultato: consistente raccolta ematica extraperitoneale, ma comunque dimessa. Sarei dovuta andare in visita privata da lui, per spremere l’ematoma, e mi infilzò senza anestesia con un ago enorme. Il dolore era insopportabile, ma cercai di resistere, questo all’incirca per 3 giorni. Con il dolore che arrivava al cuore sopportai tutto questo trattamento disumano. Purtroppo il mio girovagare per specialisti non era finito. Non riuscivo più a raddrizzare la schiena, la lombalgia era peggiorata e le gambe non mi reggevano. Feci una risonanza magnetica che evidenziò varie protrusioni discali, artrosi diffusa, coxartrosi delle anche; il mio medico si limitò solo a leggere e prescrivermi Cymbalta e integratori. Cercai un ortopedico privato che mi diagnosticò una lombosciatalgia bilaterale e mi prescrisse: Dicloreum fiale + Muscoril due volte al giorno e Nicetile. Risultato: aumento dei valori della transaminasi, di VES, PCR, WBC, MCV, MCM, neutrofili, linfociti, eusinofili tutti fuori norma, senza nessun beneficio per i dolori. Nel 2008 altra visita da una reumatologa del SSN che diagnosticò sindrome fibromialgica con artrosi diffusa, prescrisse una MOC; chiesi informazioni in merito alla patologia diagnosticata, mi rispose che si trattava di una malattia neuropatica (non indagai oltre), curabile con gabapentin che inizialmente mi dava energia spropositata, poi, passato l’effetto del farmaco, ero peggio di prima. Continuai comunque con la cura sino a che un giorno andai dal mio medico e appena entrata in studio mi disse: “signora ho la cura per lei, il Lyrica”, del quale mi fornì qualche campione, però mi raccomandò di non leggere il foglietto illustrativo per non farmi condizionare, io con speranza feci ciò che mi disse. Per farla breve, stavo peggio e allora mi consigliò un neurologo suo amico sempre privatamente. Già si presentò male, maleducato e scorbutico, e mi disse che ero depressa e che i tentativi con l’antidepressivo erano infruttuosi per scarsa compliance. Mi aggiunse alla terapia Mutabon mite. Dopo tre mesi ero ridotta a un vegetale, non riuscivo a ingoiare neanche una goccia d’acqua, forti tremori, convulsioni, disturbi gastrointestinali, visione offuscata, confusione mentale, difficoltà nel linguaggio e quando tentavo di alzarmi cadevo a terra. Dimagrita di 10 kg e disperata chiesi a mio marito di portarmi da un altro neurologo che, dopo avermi ascoltata, prescrisse un quarto di Mirtazapina 30 mg che però non tollerai e quindi sospesi. Pensai che forse non era la strada giusta, pertanto nel 2009 andai da un reumatologo in privato, prese visione di tutti i referti precedenti e finalmente venni trattata umanamente, forse sensibilizzato dalla mia condizione, mi disse di interrompere tutte le cure precedenti perché evidentemente non tolleravo quei medicinali e mi diagnosticò polimialgia reumatica con componente fibromialgica (dimenticavo di dire che negli anni mi avevano prescritto analgesici e antinfiammatori… Coefferalgan, Contramal, Mirtazapina e altri oppioidi tutti con gravi effetti collaterali). Mi prescrisse il cortisone (Medrol) ad alto dosaggio, poi pian piano a scalare, integratori e Metotrexate, più infiltrazioni alle caviglie per ridurre il dolore e il gonfiore. Ad esclusione del Metotrexate, che dovetti interrompere per forti emicranie, con il cortisone iniziai a riprendermi. Per due anni fui seguita da questo reumatologo, il quale mi indirizzò alla terapia del dolore. Conseguentemente alla prima infiltrazione lombare, sentii un dolore lancinante che non mi consentiva di camminare, con successivo allettamento durato 10 giorni. Alla seguente visita e infiltrazione, visti i risultati, mi dissero che non avrebbero potuto fare niente per il mio caso. Successivamente, effettuai delle sedute da un chiropratico. Dapprima i risultati furono discreti, ma non risolutivi, dopo due anni di sedute riscontrarono una capsulite adesiva nelle spalle, tendinite e artrosi, pertanto dovetti interrompere il trattamento.

L’unica terapia da cui trassi giovamento fu il cortisone, tuttavia ero intenzionata ad eliminarlo data l’osteoporosi, per cui tentai di avvicinarmi alla medicina omeopatica, agopuntura e laser (per via della capsulite e tendinite sopra descritta).

Dati gli scarsi risultati precedenti, tornai alla medicina tradizionale prenotando una visita fisiatrica, feci fisioterapia per le spalle e cervicale (TECAR, TENS e massaggi, con risultati soddisfacenti dopo un mese di trattamento).

In conclusione, attualmente sono ancora in cura con il cortisone ormai da 10 anni, ho dolori sacrali, iliaci, lombosciatalgia, ernie varie, tendini che tirano come elastici, formicolii e crampi, problemi alla vista, cervicalgia, vertigini, ipotiroidismo subclinico con gozzo multinodulare, adenoma di Plummer (trattati a maggio 2019 tramite terapia radiometabolica per evitare l’intervento di asportazione della tiroide), dolori migranti, confusione mentale, stanchezza cronica, acufeni. Sono tutt’ora in cura da una reumatologa del SSN con la stessa diagnosi, polimialgia reumatica con componente fibromialgica, artrosi diffusa e osteoporosi.

Questa è una parte della mia storia, ho cercato di scrivere le cose che più mi hanno ferita e creato disagio, scusate se ho avuto un po’ di difficoltà a farmi capire, scrivere è stata dura, volevo quasi rinunciare perché la mia mente andava in tilt e i miei occhi non vedevano bene, ma spero che la mia esperienza serva a qualcuno. Intanto cerco di convivere con il “mostro”, tanto sino ad ora nessuno dei medici specialisti che ho incontrato ha saputo curarmi e dare una origine al mio male… malattia rara, dicono. Ma la fibromialgia, per mia esperienza, non viene mai da sola, altre patologie l’accompagnano, purtroppo! Spero almeno che la riconoscano come malattia invalidante perché è veramente impossibile sopportare i dolori che porta. Il più delle volte si vorrebbe gettare la spugna, non sai più cosa vuol dire vivere senza dolore, quel dolore che vorremmo non avere più.

P.S.: sono rammaricata per la situazione che tutti stiamo vivendo a causa del Coronavirus e con infinita tristezza ho dovuto raccontare la parte peggiore della sanità (ma non potevo mentire su ciò che ho subito). Spero tanto nella competenza e professionalità, che sicuramente esiste, dei tanti medici e del personale infermieristico che si stanno sacrificando per salvare tante vite. A tutti loro, grazie!

 

2 pensieri riguardo “Le storie di Paola: la storia di Caterina

  • silvia ricciardelli

    ti sono vicina..mentre leggevo riconoscevo come mie le tue sensazioni di abbandono e frustrazione..
    io non riesco piu’ a vivere continuando a star male così..

  • silvia ricciardelli

    ti sono vicina..mentre leggevo riconoscevo come mie le tue sensazioni di abbandono e frustrazione..
    io non riesco piu’ a vivere continuando a star male così..

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