Il punto di vista di Valeria: “Fare la differenza: conoscere il dolore cronico e aiutare la ricerca”
Il dolore cronico è un argomento molto poco conosciuto, non solo dalle persone comuni, ma anche dal personale sanitario. Esiste un grandissimo numero di falsi miti che vanno sfatati riguardo questo tema, perché sono una delle cause maggiori di difficoltà nella diagnosi, nella convivenza e nella cura di esso. Un esempio è sicuramente l’idea che sia una “patologia mentale”, ossia che solo perché non si vede debba essere necessariamente classificato come “non esistente” o “esistente solo nella mente della persona” e che, quindi, come tale, non meriti la corretta attenzione da parte dei medici o, perché no, anche dei famigliari. Inoltre, questi pensieri incrementano la difficoltà per il paziente a segnalare tale problema, a lottare per trovare una terapia adatta e a riconoscere la sofferenza come qualcosa che necessita di essere messa a tacere attraverso strategie di ricerca di benessere, sia fisico che emotivo.
Il dolore persistente è uno dei temi, purtroppo, più sminuiti in campo medico e sociale, nonostante esso sia proprio dietro l’angolo. Quante volte è capitato che una persona, magari a seguito di una frattura anche minima o di un trauma sportivo, ci venisse a dire che, passati gli anni, avverte ancora dolore o debolezza nella zona dell’infortunio? Oppure, quante volte abbiamo incontrato una persona che soffre di mal di schiena ricorrente? Se ci pensate, succede molto spesso. E non è forse anch’esso dolore cronico? Lo è eccome! Solo che lo sottovalutiamo, non ci rendiamo conto di quanto tale problema affligga la maggior parte di noi.
Il nostro corpo tende a cronicizzare molto spesso eventi traumatici che se, fortunatamente, sono curati nella maniera più corretta e tempestivamente, non provocano danni a lungo termine o, se lo fanno, portano solo leggero indebolimento in quella zona, ad esempio quando la sottoponiamo a sforzi eccessivi. Se, invece, come capita in tantissime circostanze, il trauma o la problematica non viene eliminata in breve tempo, può provocare danni più seri, ossia la comparsa di quel dolore cronico che ti rovina, ti devasta, porta via ogni aspetto della tua vita, costringendoti a focalizzare la completa attenzione su questo mostro invisibile che ti obbliga a riposo costante, poche energie e molte conseguenze a livello fisico ed emotivo, che dovrebbero essere tutt’altro che sottovalutate.
Perché dico questo? Perché queste parole devono essere il vostro campanello di allarme, chiunque voi siate e qualunque rapporto abbiate con la medicina, per farvi rendere conto di quanto il dolore cronico sia parte della vita quotidiana di troppi individui, di come sia una sorta di interruttore nel corpo di chiunque, pronto ad accendersi in caso di minimo evento scatenante (non solo traumi fisici, ma anche patologie o generandosi autonomamente). Ovviamente, questo tema non deve essere interpretato come terrorismo psicologico, bensì come un modo per sensibilizzare una lotta che non deve partire da un solo individuo, ma da quanti più soggetti possibili. In particolare, questa lotta deve confluire in aiuti alla ricerca, che è ancora nettamente insufficiente. È importante comprendere i meccanismi che generano il dolore cronico e trovare delle cure proprio per evitare che vada a peggiorare nel tempo, portando gravi complicazioni. Con una semplice donazione, si può fare la differenza. Inoltre, è ovviamente necessaria l’informazione e la condivisione di tali informazioni con quante più persone possibili, per aiutare chi è costretto a soffrire senza essere capito. Perché il dolore cronico è questo: qualcosa che non permette al paziente di sentirsi compreso. Crea solitudine, crea sofferenza, crea un circolo vizioso da cui al momento, proprio per la poca ricerca, è difficile uscire. Mettiamo da parte l’indifferenza e iniziamo a lottare per gli altri e per noi stessi, così da togliere la corrente a quell’interruttore che aspetta solo il momento giusto per accendersi.
Valeria T.