“Il dolore post-chirurgico persistente è un’epidemia silenziosa”
Vi facciamo conoscere le anime di ISAL: i giovani ricercatori che rappresentano il cuore dell’attività di ricerca della Fondazione. Oggi entriamo nel dipartimento di ortopedia e traumatologia dell’università degli studi di Roma Tor Vergata, dove il medico dello sport Monica Celi sta avviando insieme ad ISAL ad un innovativo progetto di ricerca sugli oppioidi ed il dolore post operatorio negli interventi all’anca. La dottoressa Celi in questa intervista ci parla anche dell’artrosi dell’anca, delle cause che la predispongono e degli accorgimenti per prevenirla.
Qual è il suo percorso professionale e come ha incontrato ISAL?
Durante tutto il mio percorso di studi, che mi ha portato alla laurea in medicina e chirurgia a Roma Tor Vergata e di seguito alla specializzazione in medicina dello sport, ho sempre coltivato la passione per la ricerca scientifica. Infatti ho continuato ad inseguire le mie passioni con il dottorato di ricerca in malattie dell’apparato locomotore, occupandomi della traumatologia sportiva e delle patologie metaboliche dell’osso. Negli anni ho focalizzato il campo di ricerca sullo studio dell’interazione biomolecolare tra il muscolo e l’osso, due strutture strettamente connesse e reciprocamente influenzabili. Osteoporosi, osteoartrosi e sarcopenia sono i più frequenti disordini muscolo-scheletrici che colpiscono le persone anziane. Risulta oggi evidente come tali patologie siano legate ad alterazioni di quel costante dialogo che intercorre tra osso e muscolo a livello meccanico, cellulare e molecolare. Lavori recentemente pubblicati dal nostro gruppo di ricerca del dipartimento di ortopedia e traumatologia dell’università degli studi di Roma Tor Vergata hanno messo in luce numerosi aspetti coinvolti nelle occorrenze e nello sviluppo di tali patologie. E’ proprio grazie alle collaborazioni interdisciplinari intercorse in questi anni tra diverse università e centri di ricerca che ho avuto il piacere di conoscere il Prof. Raffaeli e iniziare questo nuovo percorso scientifico
Può raccontarci il progetto di ricerca che sta seguendo per la Fondazione?
Il progetto di cui mi sto occupando grazie al supporto di ISAL e alla ormai consolidata esperienza del Prof. Raffaeli sul trattamento del dolore cronico, ha come titolo: ”I farmaci oppiacei nel trattamento del dolore nella fase Pre-chirurgica di protesi d’anca: studio standard di cura finalizzati alla prevenzione della cronicizzazione del dolore con identificazione di markers biologici predittivi dello sviluppo di cronicizzazione”. Nonostante lo sviluppo di nuove tendenze e strategie terapeutiche, il dolore persistente post-chirurgico rimane un problema di grande rilevo nella popolazione, seppur sottostimato. La mancanza di ricerca sul dolore post-operatorio persistente è probabilmente attribuibile al fatto che esso si verifica dopo procedure chirurgiche diverse, e quindi il riconoscimento del problema è lento, frammentato e sottostimato. A causa del suo mancato riconoscimento, nonostante la sua diffusione, il dolore post-chirurgico persistente è stato definito un’epidemia silenziosa di grande impatto sociale. E’ quindi di vitale importanza per prevenire l’instaurarsi di uno stato permanente di dolore cronico post-chirurgico, determinare se la terapia farmacologica richieda dosaggi caratteristici e tempi di assunzione specifici. Per questi motivi è stato sviluppato nostro progetto e nello specifico il nostro intento è quello di analizzare se l’uso di una classe di farmaci, gli oppioidi, il cui uso è ormai largamente validato in letteratura e consolidato nel trattamento del dolore osteoartrosico, possa avere un effetto sulla popolazione linfocitaria e modulare l’insorgenza del dolore cronico post operatorio. In particolare vogliamo verificare se il trattamento anticipato, assunto nella fase pre-chirurgica, e a dosi standard quotidiane con un farmaco della categoria oppioide, abbia un valore aggiuntivo sulla prevenzione della cronicizzazione del dolore e sulla prevenzione della disabilità secondaria, rispetto trattamenti convenzionali con analgesici. Inoltre attraverso la collaborazione con biologi esperti vogliamo cercare di capire se i recettori oppioidi presenti sulle membrane dei linfociti-monociti e cellule NK possono identificarsi quali markers dell’andamento terapeutico.
Qual’ è l’aspetto più difficile da affrontare nella vita quotidiana per i pazienti che soffrono di questa patologia?
L’ artrosi dell’anca è una degenerazione dell’anca che coinvolge prima la cartilagine dell’anca e successivamente le parti ossee dell’articolazione. La malattia evolve in modo lento, ma progressivo, rimanendo per molto tempo praticamente asintomatica; questo rende più difficile intervenire con trattamenti efficaci. L’usura della cartilagine e progressivamente dell’articolazione compromette la normale deambulazione e comporta dolore. Questo quadro comporta una serie di sintomi dolorosi, una fastidiosa sensazione di rigidità dell’articolazione e l’impossibilità di compiere alcuni movimenti, arrivando a rendere difficoltoso anche l’atto stesso del camminare. I sintomi possono presentarsi ad una sola anca o ad entrambe: generalmente c’è sempre un lato maggiormente interessato, ma nel tempo questo può cambiare a causa degli adattamenti che il corpo mette in atto per sfuggire al dolore. La coxartrosi rende difficile e doloroso compiere alcuni semplici movimenti come piegarsi, allacciare le scarpe, sollevare la gamba, salire e scendere le scale.
Quali sono i fattori che predispongono all’artrosi dell’anca e quali i piccoli accorgimenti per prevenirla o affrontare questa patologia?
Sono diverse le cause che possono dare origine all’artrosi dell’anca. Le artrosi primarie dell’anca, quando non si riscontra una causa secondaria, sono una prerogativa dell’età avanzata; è infatti proprio l’invecchiamento che ha il ruolo principale nel processo degenerativo. Le artrosi secondarie sono essenzialmente legate a fattori traumatici quali ad esempio fratture del bacino, fattori di tipo osteoarticolare, tipo l’osteonecrosi della testa del femore, malformazioni scheletriche, ad esempio scoliosi, valgismo, varismo, fattori di tipo articolare come la displasia congenita dell’anca e non ultimo per frequenza di causa, fattori occupazionali, nel senso di professioni che costringono a un utilizzo eccessivo dell’articolazione coxo-femorale. Più rare sono invece le coxartrosi legate a fattori metabolici ed endocrini quali artrite reumatoide, diabete, gotta, iperparatiroidismo, obesità.
Per ridurre al minimo il rischio di artrosi dell’anca è importante usare delle corrette misure alimentari e di stile di vita quotidiano, nel senso di evitare il sovrappeso, l’assunzione di posture scorrette e di caricare eccessivamente e ripetutamente l’articolazione. Inoltre un’alimentazione equilibrata, ricca di vitamine, omega 3 e minerali e povera di alcol e di cibi di origine animale aiuta a mantenere in salute tutte le articolazioni.
Quali sono i numeri e l’obiettivo di questo progetto?
Ogni anno nel mondo vengono effettuati oltre 600.000 interventi protesici dell’anca. In Italia si effettuano più di 100.000 interventi e il numero cresce al ritmo del 5% annuo anche grazie ai nuovi materiali capaci di resistere efficacemente all’usura, aumenta il numero degli interventi nei giovani: ogni anno 20.000 protesi vengono impiantate nelle persone under 65 e 5.000 in pazienti con meno di 50 anni. E’ prevedibile che nel futuro si riscontri un vertiginoso incremento nel numero di procedure effettuate per aumento delle indicazioni e dell’aspettativa di vita. Diventa quindi opportuno studiare quali siano i fattori che ottimizzano la procedura chirurgica e l’esito per ridurre le complicanze che prolungano la durata della degenza, facilitare il recupero riabilitativo post-chirurgico e limitare le complicanze disabilitanti permanenti, tra cui la persistenza di dolore cronico severo dopo la procedura. Questo tipo di ricerca è indubbiamente importante per permettere una sostanziale riduzione dei costi sanitari correlati alla procedura e garantire alla persona un pieno recupero alla vita attiva
Lei è specializzata in medicina dello sport, gli sportivi conoscono bene il dolore nel continuo tentativo di superare il proprio limite, infatti sono campioni dello sport anche molti ambasciatori ISAL. Come entra il dolore cronico nello sport e come è possibile affrontarlo?
Lo sport e l’esercizio fisico sono diventati una realtà indiscussa del nostro quotidiano, e il numero di persone che praticano esercizio regolarmente è in continuo aumento. I benefici per la salute e la compensazione dello stress sono fra i fattori motivazionali principali. L’esercizio può comunque produrre danni di vario tipo: non solo chi pratica sport a livello agonistico è soggetto a infortuni e usura della struttura muscolo-scheletrica, anche chi è appassionato di sport e si dedica ad allenamenti intensi e ripetuti, può incorrere nel pericolo di traumi o di dolori che con il tempo diventano cronici, soprattutto se non si conoscono le tecniche corrette. Il dolore cronico nello sport è conseguenza di microtraumi ripetuti. I danni da overuse possono derivare da carico ripetitivo soprasoglia o da traumi minori ripetuti, che nel tempo eccedono la naturale capacità di recupero dell’organismo. E’ quindi opportuno affidarsi ad allenatori esperti e qualificati, seguire uno schema d’allenamento personalizzato ed usare giuste attrezzature per ridurre al minimo gli effetti negativi dello sport
Qual è l’aspetto più coinvolgente del suo lavoro, quello che anche umanamente la appassiona di più?
Il Dolore Cronico rappresenta il motivo di maggior consultazione del medico da parte della popolazione mondiale e costringe molte persone a visite continue ed assunzione quotidiana di farmaci che, molto spesso, “tamponano” il sintomo ma non sono risolutivi. L’Obiettivo del percorso di ricerca che svolgo da anni è quello di sfruttare la sinergia d’azione di varie metodiche per curare il dolore e l’infiammazione nel modo più completo possibile. La soddisfazione più grande per un ricercatore è vedere mettere in pratica i risultati di numerosi giorni passati dietro un bancone di laboratorio nella attività clinica, con il sorriso del paziente che riprende la normale attività quotidiana
Un progetto di ricerca che sogna di poter intraprendere in futuro?
Il dolore cronico è un argomento che mi sta appassionando molto, perché ha un origine multifattoriale e interessa tutte le età. Spero quindi di continuare in questa direzione magari creando un gruppo multidisciplinare e internazionale in modo da affrontare il problema da vari punti di vista ed avere un confronto con altre realtà scientifiche