L’identikit del terapista del dolore
Due volte su tre il terapista del dolore è un uomo, quasi sempre lavora in una struttura pubblica e vive la professione come una missione. Ma vorrebbe fare meglio il suo lavoro e per questo chiede più formazione, più informazione sulla legge 38/2010 che regola l’accesso alla terapia del dolore e anche più coordinamento tra i servizi sanitari. È questo l’identikit tracciato dalla Fondazione Istud attraverso l’analisi delle risposte date dai professionisti del dolore al progetto Veduta, un questionario promosso dal Ministero della Salute e dalla Fondazione ISAL.
Donne con meno potere, ma con più autostima. Sono stati 184 i professionisti della terapia del dolore di tutta Italia a rispondere al questionario. Il 63% è composto da uomini, ha un’età media di 50,9 anni, spesso (70%) è sposato, quasi sempre (93%) ha dei figli. Nell’85% dei casi ha un contratto a tempo indeterminato, anche se in corsia sono ancora lontane le pari opportunità: è uomo, infatti, l’82% di chi riveste un ruolo di responsabilità. Rispetto agli uomini, le donne sono però più serene, hanno maggiore stima di sé e più fiducia nel prossimo (21% contro il 13%).
Quasi tutti ritengono “buona e utile” la legge 38/2010, ma il 68% dichiara che è poco visibile e applicata. A proposito sono significative alcune testimonianze. Per un terapista “non è cambiato nulla e non per carenze della legge, ma per inerzia degli amministratori”. Per un altro “la figura del terapista del dolore non è ancora riconosciuta, non ha dignità professionale e questo penalizza soprattutto i giovani professionisti che vorrebbero dedicarsi a questa specialità”.
Serve più coordinamento. I terapisti del dolore lamentano soprattutto la mancanza di una figura di coordinamento all’interno delle strutture in cui lavorano e tra queste e gli altri servizi sul territorio. Il 28% dichiara infatti di lavorare in solitudine, senza poter contare su una équipe con cui confrontarsi. Servirebbero, inoltre, più personale, più posti-letto, più spazi ambulatoriali. C’è chi chiede “un necessario ampliamento dell’organico per garantire un vero ospedale senza dolore”, chi “una implementazione degli strumenti necessari per controllare le diverse tipologie di dolore” e chi “tanta formazione e sensibilizzazione”.
Lo studio della Fondazione Istud mette a fuoco anche il rapporto che si instaura con i pazienti e l’immagine che i medici hanno di se stessi. Solo per il 3% dei terapisti del dolore il paziente e i suoi familiari sono una fonte di stress. Al contrario, per il 35% rappresentano uno stimolo, danno energia e fiducia nel proprio mestiere. Mestiere che si è scelto soprattutto (46%) per una forte motivazione, mentre solo l’8% dei terapisti dichiara di esserlo diventato per convenienza, perché “c’era possibilità di lavoro” o perché “è una specializzazione in espansione”.
Benefattori e industriosi. Dalle testimonianze emergono poi i quattro “idealtipi” dei professionisti del dolore, che si riconoscono principalmente nella figura dei “benefattori”che sono una “ancora di salvezza” per chi soffre (39%), oppure in quella dei “professionisti industriosi” che lavorano instancabilmente per alleviare il dolore (30%). Il 14% si considera poi un “eroe salvatore” un po’ idealista (14%), mentre il 5% si sente un “prigioniero” (5%), soffocato da un contesto professionale che toglie ogni libertà decisionale o, al contrario, carica di oneri e responsabilità.
“Il progetto Veduta non vuole dare risposte, ma essere uno specchio dell’identità di una categoria alle prese con la propria complessità e confusione – dichiarano i ricercatori dalla Fondazione Istud –. Nei professionisti sanitari l’orientamento al paziente è straordinariamente evoluto, mentre manca da parte di chi lavora negli uffici amministrativi dei centri del dolore una fiducia verso la legge 38”. Manca, inoltre, chi faccia da “deus ex machina” nella costruzione di quella rete allargata di terapia del dolore enunciata dalla legge 38. “Questa è la sfida – concludono – a cui sono chiamate le società scientifiche per lo sviluppo della terapia del dolore in Italia”.