Se sono depressa è perché ho la fibromialgia
Sono quasi due milioni gli italiani che soffrono di fibromialgia, e sono soprattutto giovani donne che vedono cambiare la propria vita perché il dolore diventa un agguato continuo. Eppure questa malattia che compromette la vita di chi se la ritrova addosso, non è molto conosciuta dalla maggior parte dei medici, nonostante sia dopo l’artrosi, la seconda patologia per cui si ricorre ad un reumatologo. La fibromialgia il più delle volte ha una nascita precisa, è frutto di un grande stress o più spesso di un grande dolore; la storia di Giovanna è esemplare e racconta a pieno come questa malattia sia un dolore che cambia forma, così come migra da destra a sinistra, da un arto all’altro.
Giovanna oggi ha cinquant’anni, da diciassette convive con la sua fibromialgia, che ha proprio l’età di sua figlia. Le chiedo di raccontarmi l’inizio della malattia e come sia arrivata alla diagnosi.
«Tutto è iniziato nel 2000, quando ho avuto un grave lutto nella mia vita. Solo dopo un lungo percorso è arrivata la diagnosi: avevo dolori alle spalle, alle ginocchia, alla schiena, andavo sempre da medici specifici per i diversi arti, ma per fortuna o per sfortuna le visite e le risonanze magnetiche davano sempre esiti negativi; mi dicevano che ero depressa e non volevo ammetterlo. Io sono sempre stata una ragazza molto attiva, facevo paracadutismo, canoa, motocross, bicicletta, immersioni subacquee, ogni sport a contatto con la natura, ero molto in forma e ho sempre avuto una soglia del dolore molto alta, proprio non mi apparteneva sentirmi dire che era tutta una creazione della mia mente e vedermi giudicata come una che al minimo dolore si agita. Ancora più del dolore fisico mi angosciava che nessuno sapesse dare una spiegazione a questi dolori. Finivano tutti per dirmi che ero depressa e prescrivermi degli antidepressivi. Io però non ho mai iniziato queste cure, perché mi sono sempre rifiutata di considerarmi una depressa; quando qualcuno mi dice lei ha la fibromialgia perché è depressa, rispondo con una battuta, sono depressa perché ho la fibromialgia.
Ho un lavoro che mi permette indipendenza, gestiamo un supermercato quindi posso permettermi di chiedere aiuto ai collaboratori e non è un problema se non riesco ad alzare le braccia per più di due volte, eppure è così lontano dal mio carattere non poter lavorare, stancarmi presto mi fa sentire vecchissima. Per recuperare le forze ci vuole tantissimo tempo, hai la sensazione di non riposarti mai. Anche alzarsi la mattina è molto difficile: quando mi alzo sembra che qualcuno mi stia spingendo con tremila chiodi, sono piena di dolori. Poi durante il giorno mi sciolgo un pochino, ma quando mi fermo è come se avessi sotto la gamba sinistra una calamita che vuole scaricarmi a terra. Ho fatto l’esame tender point e sono risultata positiva a 18 su 18, ho una fibromialgia con la F maiuscola.
La fibromialgia è antipatica perché dall’esterno sembriamo sani, un dolore al braccio che cosa vuoi che sia, non ci vedono e non ci credono. Io vivo in un piccolo paese di 6000 abitanti eppure siamo già quattro o cinque donne a soffrirne. A tutte, in diversi ospedali, è stato detto solo di prendere degli antidepressivi; io preferisco camminare, sto cercando di curare molto l’alimentazione, ho comprato una bicicletta con la pedalata assistita. La paura di uscire in bicicletta e non riuscire a tornare a casa mi faceva desistere dal fare una cosa che amo. Cerco di non usare mai la pedalata assistita, ma ci sono momenti in cui sono costretta a farlo.»
Chiedo a Giovanna cosa le manca della sua vita prima della fibromialgia. «Mi manca la libertà di una maratona Macerata-Loreto che so di non poter più fare: si parte a mezzanotte e si arriva di mattina, era una cosa che facevo e mi piaceva molto, adesso so che dopo poco più di un’ora mi dovrei fermare.
Sono sempre stata molto indipendente e ho sempre fatto sport impegnativi, mi fa paura non poter più fare le cose che prima erano semplici, perché riconosco questo limite. Oltre alla paura c’è la rabbia, ma soprattutto l’ansia di trovarmi impotente ad aver bisogno degli altri per tornare a casa: è ciò che della fibromialgia mi spaventa. Anche più dei dolori lancinanti, degli arti che si addormentano, la cosa che mi fa male è la non libertà.»
La vitalità e la forza di Giovanna sono evidenti, scambiare per depressione il suo dolore è un affronto a ciò che ha attraversato. Dopo un po’ che chiacchieriamo mi racconta meglio la sua storia. Nel 2000 Giovanna ha 33 anni e una bambina di sei mesi, quando suo marito muore. Per la sua bambina non si permette di lasciarsi andare al dolore, si fa forza da subito. «La depressione forse l’ho soffocata nel momento del lutto per la mia mia bambina; i bambini perfino nella pancia sentono le emozioni e le tensioni della madre, anche se aveva solo sei mesi avevo paura che risentisse del mio dolore, cercavo di non piangere mai davanti a lei. E così è stato per tutta la sua infanzia: non era facile non piangere quando avevi voglia di piangere, essere così forti e presenti in momenti come il primo giorno di asilo o il primo giorno di scuola, quando tutti i papà accompagnavano i bambini e tutti erano insieme, mentre noi eravamo sempre solo noi due. Torni a casa, approfitti del momento in cui lei non ti guarda e per un attimo vai giù, poi ti rimetti in carreggiata e riparti.
Lei è cresciuta troppo in fretta, e anche per dimostrare a me stessa che non devo abbattermi io cerco di trasmetterle il fatto che noi ci siamo e dobbiamo andare avanti, portando con dignità il dolore, sia quello fisico che l’altro, dobbiamo andare avanti senza abbatterci. Per questo io non sopporto che mi si dica che sono depressa e mi rifiuto di assumere antidepressivi.»
Quale consiglio daresti a chi scopre di avere questa malattia?
«Rimboccarsi le maniche, di non farsi schiacciare dalla parola depressione e da chi non ci capisce, perché ce la possiamo fare.»
Qual è la parola che vorresti sentirti dire da un medico?
«Non avere paura, puoi farlo, e non il solito purtroppo deve conviverci.»
La storia di Giovanna ci racconta la fibromialgia nel suo senso più profondo, lei ha usato ogni muscolo per resistere al dolore, e il dolore che non riusciva a fermarla le ha preso ogni muscolo. Curare come depressione ciò che la resistenza alla depressione le ha portato, per lei sarebbe uno schiaffo e un paradosso, ciò che vuole è che le cose siano affrontate con il loro nome, come lei ha fatto fino ad ora nella sua vita.
Nell’immagine una bellissima opera dell’artista contemporanea Antonella Cinelli