Vent’anni di sofferenza inutile
Mi chiamo Rossella, ho 45 anni, vivo a Sulmona e sono madre di due bambini di 13 e 9 anni.
La mia personale via dolorosa comincia nell’estate del 1996.
L’anno precedente ero stata operata per un tumore al cervello. Il neurochirurgo, prima che entrassi in sala operatoria, disse a me e ai miei familiari che nonostante il tumore fosse benigno, la sua posizione all’interno del cranio era particolarmente pericolosa, per cui poteva esserci il rischio di serissime complicazioni. Ricordo che mi fu anche detto che sarei potuta morire.
L’intervento, fortunatamente, andò bene. Ero sopravvissuta, e questo mi dava tanta gioia e tantissima voglia di vivere.
Passarono però solo pochi mesi e cominciai ad accusare un dolore assai strano, che, a dire il vero, non sapevo nemmeno dove localizzare. Era un dolore che mi tormentava in maniera fastidiosa, giorno e notte.
Dal momento che ero ancora viva, pensavo non dovessi lamentarmi più di tanto. Nel frattempo, il dolore continuava ad aumentare d’intensità e il tumore cerebrale era nuovamente cresciuto. E dovevo essere operata ancora una volta, e poi un’altra ancora. Figuriamoci se io, e anche medici in verità, potevamo occuparci o preoccuparci del dolore.
Fortunatamente, dopo il terzo intervento il tumore cerebrale non crebbe più, ma il dolore aumentò progressivamente.
Chiesi al mio medico curante, talvolta piangendo dalla disperazione, di darmi qualche farmaco che almeno alleviasse la mia sofferenza. Di medicine ne ho cambiate tantissime: bustine, compresse, gocce, supposte, ma il dolore diffuso a tutto il corpo lì stava e lì rimaneva.
Cominciai allora a girare in tutti gli studi specialistici: ortopedici, neurologi, psichiatri, psicologi, reumatologi, omeopati e chi più ne ha, più ne metta. Poiché di fronte all’inefficacia delle terapie che mi venivano prescritte io continuavo a lamentarmi della mia sofferenza, qualche medico era arrivato a dire perfino che le cure su di me non potevano avere effetto perché ero pazza e la mia malattia era la depressione.
Dunque, non potevo farci nulla, dovevo continuare a vivere nella mia sofferenza.
Feci di tutto per non pensare al dolore che non mi abbandonava mai, giorno e notte, e poi cominciai a curarmi nei modi più strani.
E poi mi sono sposata, ho avuto due splendidi bambini e mi sono dedicata a loro con tutte le mie energie, sperando che il mio dolore alla fine andasse via.
Ma non fu così, e alla fine la profonda sfiducia nei medici e nelle medicine mi ha fatto precipitare nello sconforto più totale.
Arrivai a pensare che non valesse più la pena di continuare a vivere. L’idea del suicidio alla fine era diventata una sorta di consolazione; se non c’era nulla da fare, era meglio finirla una volta per tutte.
Successe, allora, che in un momento di grande sconforto decisi che era ora di farla finita. Ma il gesto messo in atto, per mia fortuna, non ebbe la conclusione da me voluta.
Dopo il ricovero in ospedale, tornai a casa e tutto tornò come prima; dolore diffuso continuo, spossatezza, perdita di interesse per la vita e soliti pensieri negativi.
Ma l’anno scorso, ad aprile, accadde una cosa straordinaria; parlando con mio padre, venni a conoscenza di un medico che si occupa di terapia del dolore: lo aveva visto in una trasmissione televisiva locale mentre parlava della Fondazione ISAL.
Lo contattai subito, e gli chiesi se potessi essere visitata: mi diede un appuntamento per il giorno successivo.
Gli raccontai per filo e per segno la mia vicenda. E questo medico mi rassicurò, dicendomi che il mio problema poteva essere curato, e che l’assenza di giovamento dalle precedenti cure era dipeso dal fatto che i farmaci impiegati non erano quelli giusti.
Cominciai dunque la mia nuova cura. E così come mi era stato anticipato nel corso nella visita, comparirono alcuni fastidiosi effetti collaterali; ma dovevo resistere e andare avanti se volevo far scomparire il mio dolore.
Ho tempestato il medico di messaggi e telefonate; la mattina, il pomeriggio e anche la sera. E lui mi rispondeva sempre: aveva la dolcezza di un padre che rassicura la figlia; mi diceva sempre che le sensazioni che io stavo provando erano assolutamente normali con l’avvio della nuova terapia e che sarebbero sparite.
Dopo 15 giorni, gli effetti collaterali scomparirono e mi accorsi che anche il dolore era scomparso.
Oggi sono felice, sono serena, ho ripreso a vivere con gioia e parlo a tutti della terapia del dolore che ho sperimentato e che mi ha fatto tornare a essere quella persona energica e volitiva che ero prima che cadessi preda dello sconforto a causa del dolore che mi ha tormentata per vent’anni.
Non posso dunque che ringraziare dal profondo del cuore il Professor Gianvincenzo D’Andrea, il quale mi ha riportato a nuova vita, e anche la fondazione ISAL, che si prodiga perché chi soffre di dolore cronico possa trovare la giusta terapia e per alleviare la sofferenza quotidiana che ti distrugge l’esistenza.
Ora non faccio che parlare bene di chi mi ha guarito e anche della Fondazione ISAL, di cui sono diventata una convinta sostenitrice. E lo faccio per dire a tutte quelle donne (in Italia sono oltre 3 milioni!) che a causa delle malattie dolorose più disparate vivono la loro sofferenza di nascosto e in profonda solitudine, di uscire allo scoperto e di non vergognarsi a chiedere aiuto.
C’è un numero verde – 800 10 12 88 – a cui si può telefonare per avere informazioni, oppure ci si può rivolgere direttamente alla Fondazione ISAL, tramite il suo sito web, i suoi social o il suo indirizzo mail (isal@fondazioneisal.it).
Oggi il dolore cronico è curabile nella stragrande maggioranza dei casi… e allora perché bisogna soffrire inutilmente come, purtroppo, è capitato a me?