Legislazione
Legge 38/10
Nel marzo 2010 è stata emanata la Legge 38 concernente le “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore” (Gazzetta Ufficiale n. 65 del 19 marzo 2010). Si tratta di una legge che per la prima volta garantisce l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore da parte del malato nell’ambito dei livelli essenziali di assistenza, al fine di assicurare il rispetto della dignità e dell’autonomia della persona umana, il bisogno di salute, l’equità nell’accesso all’assistenza, la qualità delle cure e la loro appropriatezza riguardo alle specifiche esigenze.
Tra gli aspetti più importanti della legge troviamo la rilevazione del dolore all’interno della cartella clinica, la semplificazione delle procedure di accesso ai medicinali impiegati nella terapia del dolore, la formazione del personale medico e sanitario, ma soprattutto l’impegno per la creazione di reti di assistenza per l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore, al fine di garantire ai pazienti risposte assistenziali su base regionale e in modo uniforme su tutto il territorio nazionale.
Questo passo fondamentale stabilisce che venga costituito, con appositi provvedimenti regionali e aziendali, una rete efficace e coordinata per la cura al dolore, in tutte le sue forme.
La legge, tra le prime in Europa, tutela infatti in primis il diritto del cittadino ad accedere alla cura individuando tre diverse reti di assistenza: quella delle cure palliative, quella della terapia del dolore e quella dedicata al paziente pediatrico.
Per visualizzare il testo integrale della legge clicca qui
Ospedale senza dolore
Allo scopo di arginare la prevalenza del dolore negli ospedali, il Ministero della Salute ha istituito una commissione di studio, con decreto del 20 settembre 2000, allo scopo di elaborare le linee guida per il progetto “Ospedale Senza Dolore”.
Finalità delle linee guida è quella di aumentare l’attenzione del personale coinvolto nei processi assistenziali nelle strutture sanitarie italiane affinché vengano messe in atto tutte le misure possibili per contrastare il dolore, indipendentemente dalla sue tipologia, dalle cause che lo originano e dal contesto di cura.
Ciò implica che la rilevazione del dolore, continua il Ministero, divenga costante al pari di altri segni vitali quali la frequenza cardiaca, la temperatura corporea, la pressione arteriosa, fondamentali nella valutazione clinica della persona.
Oltre a questi punti, le linee guida contengono inoltre indicazioni relative al processo di educazione e formazione continua del personale di cura operante nelle strutture sanitarie ed alla informazione e sensibilizzazione della popolazione.
Per visualizzare il testo integrale dell’Accordo tra il Ministro della Sanità, le Regioni e le Province Autonome sul documento di linee-guida inerente il progetto “Ospedale senza dolore”, clicca qui.
Progetto carcere senza dolore
Si parla poco di dolore, in senso patologico, all’interno delle carceri e non si sa nulla della Legge 38/2010 che ha competenze applicative a livello di sanità regionale e quindi, anche all’interno delle carceri.
Il dibattito è già ampio ed ha già condotto a qualche primo risultato.
L’avvocato Francesca Sassano, collaboratrice di Fondazione ISAL, ha pubblicato due opere come coautrice su questo tema e sviluppato una riflessione, unitamente a Fondazioni e Associazioni tra le quali ISAL, su come il dolore viene trattato all’interno degli istituti penitenziari, reputando come sia necessario sviluppare all’interno di questi spazi, destinati ad adempiere compiutamente la propria vocazione di recupero sociale, un programma di prevenzione e di cura del dolore.
Un programma che ha nell’obbligo di applicazione della Legge 38/10 un principio prepotente, che nessuna struttura sanitaria può eludere, ma che proprio nelle carceri è disapplicata.
È noto come il dolore cronico possa modificare profondamente lo stato psicologico delle persone, inducendo una grave depressione nel 24% dei casi, stato di insonnia, inappetenza, complicate da stanchezza muscolare e via dicendo, uno stato che drammaticamente nel 16% dei casi può concludersi con suicidio.
La disapplicazione della 38/2010, pone quindi domande rilevanti: può uno stato permanente di dolore influire negativamente sull’evoluzione dei programmi tesi al recupero sociale? Può il dolore con la comorbosità depressiva, sottendere a gesti suicidari aggravando la sconsolazione della pena? Può la disabilità che il dolore genera, mantenendo ipersensibilità termo-tattile e instabilità emotiva che sottrae alla possibilità di partecipare alla vita lavorativa con continuità e regolarità, condizionare la capacità di inserimento nel lavoro ordinario, spingendo quindi al delinquere?
Accogliere la regolare applicazione della Legge 38/10 nelle carceri italiane non equivale ad un solo dovuto controllo del dolore e il successivo ripristino di una vita migliore che difende il diritto di cura, ma è anche una formidabile opportunità di recuperare il desiderio di cambiare la propria vita.
Questo programma non deve essere però affidato a soggetti esterni, ma a chi vive ogni giorno la realtà penitenziaria, sia professionali che tecnici, maturando chiaramente le dovute competenze.
Nella vita quotidiana dei penitenziari discriminare l’uso promiscuo dello stare “male”, è un compito che vale la pena perseguire, giacché da esso non solo si determina un ambiente più limpido nella caratterizzazione degli eventi, ma si riduce in maniera significativa il ricorso a continui spostamenti in ospedale con impegno di guardie e mezzi per soddisfare non una domanda di cura, ma evitare errori procedurali quindi di medicina difensiva. In particolare diviene importante definire come si possa attuare una buona cura, ove spesso questa contempli uso di sostanze oppioidi, con il frequente stato di dipendenti o ex-dipendenti da sostanze stupefacenti, evitandone il ricorso per abuso o rigettandoli nel dramma.
Sulla base di queste premesse si è strutturato un piano di ricerca capace di documentare quanto valga la buona pratica per la prevenzione e la cura del dolore negli istituti carcerari e verificarne gli ambiti di applicabilità nella piena sicurezza di tutti gli addetti alla detenzione e dei carcerati, con la necessaria cautela affinché non si instauri alcun elemento di disagio gestionale medico e penitenziario.
E’ il tempo di unire le forze per evitare che la realizzazione della Legge 38 non finisca monca di una componente essenziale dei propri dettami, quale il dare aiuto a chi ha necessita di credere nuovamente in uno Stato di diritti.
Si è già iniziato un proficuo dialogo con le Istituzioni interessate per porre attenzione sul problema esistente ma ancora non imploso; a tal fine si è realizzato un progetto di ricerca e di formazione dedicato a questa fragilità, un programma di identificazione del valore, sia sanitario ma anche di recupero sociale, che deriva dall’attuazione piena della Legge 38/10, considerata come una normativa che non può più, per alcuna ragione, essere disapplicata nelle carceri.
Il progetto prevede l’applicazione random di due differenti programmi formativi presso una serie omogenea di strutture penitenziari dislocate in aree omogenee per tipologia, in varie realtà regionali. Ad ognuno verrà presentato il programma formativo che sarà di grado intensivo in un gruppo e di grado basale in un altro.
La differenza, pur mantenendo in ambedue l’insegnamento dei principi che permettono di applicare la legge – specie nell’applicazione dell’articolo 7 della stessa-, consisterà nella diversa caratterizzazione dei soggetti a cui verrà rivolta la formazione. Il monitoraggio dovrà contenere la valutazione del dolore presente in carcere quotidianamente, l’impegno di risorse di personale per la sua gestione, la complessità e l’inappropriatezza nell’uso dei farmaci analgesici e di supporto, i costi primari e derivati delle azioni sanitarie, i costi primari e derivati delle azioni carcerarie, la ricaduta sulla vita di relazione e sulla vita in libertà.
Tale programma, da lasciare alle specifiche competenze interne, è teso anche ad analizzare quali siano le azioni a maggior impatto sulla qualità dei processi di cura e miglioramento della vita penitenziaria, con riduzione dei conflitti e dei costi totali.
La collaborazione tra professionisti sanitari, centri di cura, organizzazioni civiche e di pazienti, enti di formazione e università è indispensabile al fine di tutelare “il diritto ad accedere alle cure palliative e alla terapia del dolore” sancito dall’articolo 1 della legge 38/2010. La promozione della cultura del dolore presso professionisti sanitari, amministratori, interlocutori politici e cittadini che operano all’interno degli Istituti penitenziari è una priorità nel miglioramento delle cure nel nostro Paese ed anche una esenzione di responsabilità, pena procedure di infrazioni, alle quali certamente lo Stato Italiano è già esposto ma non sottoposto.