Terapie

Nella terapia del dolore, come in ogni altro campo della medicina, è necessario conoscere e applicare le regole che migliorano l’efficacia delle cure.
Per questa ragione, una scelta appropriata e personalizzata della terapia farmacologica, rappresenta il caposaldo di ogni processo terapeutico.
Il primo passo nel trattamento del dolore cronico è rappresentato da una corretta diagnosi iniziale sia della causa sia della tipologia del dolore, formulata dal medico esperto nella problematica. Quando la natura del dolore e la sua tipologia (dolore nocicettivo o neuropatico con le sue differenziazioni) sono identificati, è opportuno iniziare la terapia perché anche se non si è completato il percorso diagnostico, alleviare il dolore cioè ridurne l’intensità fino a renderlo sopportabile, non compromette né nasconde in alcun modo l’evoluzione della malattia primaria e neppure ne ritarda la buona gestione.
La strategia terapeutica utilizzata dipende, dunque, da molti fattori quali la causa e l’entità del dolore, la durata prevista delle cure, le condizioni cliniche generali del paziente e la sua capacità di collaborazione ed adattamento a un determinato programma terapeutico.

Analgesici

I farmaci utili per ottenere un adeguato controllo del dolore appartengono a numerose e differenti classi farmaceutiche che hanno proprietà specifiche per la cura di alcuni tipi di dolori e non per altri. Dunque la prima cosa da comprendere è che non esiste un farmaco analgesico universale capace di portare un beneficio indipendentemente dalla condizione di dolore; gli stessi farmaci oppioidi (esempio la morfina o i suoi derivati moderni) in molti casi non sono in grado di alleviare il dolore ma non significa che per quei dolori non vi siano cure: basta usare il farmaco più adatto o le procedure appropriate.
Tornando ai nostri farmaci, la prima categoria che qui analizziamo è quella dei farmaci antiinfiammatori, i cosiddetti FANS (Farmaci Antiinfiammatori Non Steroidei).
Questa classe di prodotti farmaceutici è utilissima se usata in condizioni morbose caratterizzate da uno stato di infiammazione (infiammazione articolare o fasciotendinea acuta ecc.) o in una condizione di dolore acuto (es. colica renale) ma può essere inappropriata o incongrua se somministrata per controllare un dolore con caratteristiche neuropatiche (come ad esempio il dolore da neuropatia post-erpetica) oppure un dolore nocicettivo osteodegenerativo (artrosi) che richiede una cura prolungata nel tempo e che ha nella componente meccanica o degenerativa il fattore causale primario. In questi casi l’uso di farmaci della classe dei Fans può non solo non dare beneficio ma, al contrario, divenire fonte di rischi ed essere potenzialmente dannoso; i farmaci che devono essere usati fin dall’inizio per ottenere una buona cura sono altri: gli anticonvulsivanti e antidepressivi per la neuropatia erpetica e gli oppiacei per la osteopatia degenerativa.

L’uso corretto dei farmaci della categoria oppioide/oppiacea

Se la persona con dolore non ha mai utilizzato farmaci della categoria oppioide si deve tener conto della sua responsività che si svelerà alle prime assunzioni; in questa importante fase, in cui si decide il proseguimento della terapia in base all’efficacia ottenuta e alla tollerabilità del prodotto, è necessario che medico e paziente si confrontino e capiscano insieme se quel tipo di trattamento può essere idoneo al caso e se può essere utilizzato quindi per un periodo prolungato mediante un dettagliato schema di monitoraggio per identificare, in tempo, ogni variazione da introdurre nel piano di cura. Gli eventi che spesso complicano la cura nella sua fase di inizio e giungono a sottrarre un importante strumento terapeutico a numerose persone, sono dovuti all’induzione di effetti indesiderati di cui quelli più frequenti e che obbligano a sospendere il trattamento sono il vomito e le vertigini mentre, i più blandi, sono nausea, sonnolenza e stipsi. È importante sottolineare in questo senso che nel tempo si giunge frequentemente ad un livello di tollerabilità degli effetti indesiderati. Il paziente e la sua famiglia, soprattutto nel caso di soggetti fragili o con difficoltà cognitive, devono essere informati al meglio riguardo agli effetti che possono derivare dall’assunzione di oppioidi, rendono trasparente il rapporto di cura senza eccitare il naturale timore che circonda questa classe di farmaci.

La categoria degli oppioidi in relazione a durata, intensità e caratteri primari del dolore può prevedere una scala differenziata e graduale nell’utilizzazione delle differenti molecole presenti in prontuario: dalla molecola a minor potenza (oppioidi deboli o minori quali tramandolo o codeina), a quella più potente; capostipite la morfina che è, nella pratica medica corrente, superata da preparati ad alta duttilità e specificità quali il tapentadolo (palexia) o l’ossicodone-naloxone (targin) o altri prodotti in formulazioni transdermiche.
Lo scopo del loro utilizzo è quello di ottenere un contenimento dell’intensità del dolore e facilitare il recupero di abilità funzionali.

I Farmaci Anticonvulsivanti

Il dolore neuropatico origina dalle modificazioni strutturali (e funzionali) del sistema nervoso conseguenti a diverse condizioni morbose di origine metabolica, infettiva e traumatica. Sono esempi di dolore neuropatico la nevralgia posterpetica, la nevralgia postraumatica, la nevralgia del trigemino, la neuropatia diabetica, la radicolopatia cervicale e lombare. I meccanismi biochimici e fisiopatologici in grado di generare e mantenere il dolore neuropatico sono oggi sufficientemente noti ed il coinvolgimento di molti recettori e neurotrasmettitori offre la possibilità di alleviare le diverse manifestazioni dolorose correlate facendo ricorso a farmaci come gli anticonvulsivanti, che agiscono proprio sui meccanismi originari.
In questa categoria farmacologica le molecole maggiormente utilizzate e sulle quali sono stati condotti molti studi per valutarne l’efficacia sono la carbamazepina (con i suoi derivati), il gabapentin (con il suo derivato pregabalin) e la lamotrigina.
Ognuna di esse si è dimostrata efficace in alcuni tipi di dolore neuropatico e meno in altri con particolari e diversi effetti collaterali.
Per questo motivo è opportuno che la scelta del farmaco anticonvulsivante e il dosaggio siano stabiliti dal medico esperto in terapia del dolore, in modo da ottimizzare i benefici e ridurre gli inconvenienti, sempre tenendo conto delle condizioni cliniche del paziente.

Tecniche mini-invasive

La terapia del dolore, generalmente, ha inizio con opzioni terapeutiche conservative o, in alcune tipologie di dolore, con un mix di trattamenti che prevedono quelli farmacologici associati a procedure mini-invasive. I trattamenti specialistici di mini-invasività sono comunque un approccio da tenere in considerazione qualora la cura farmacologica non dia un effetto sufficiente. Tra le procedure di primo livello abbiamo l’uso di Blocchi nervosi associati o meno a infiltrazioni intra-articolari, Blocchi delle strutture del comparto posteriore vertebrale e Blocchi regionali sul rachide (la cosiddetta Peridurale che contiene numerose varianti di tecnica e indicazioni); vi sono poi le procedure maggiori che contemplano interventi che possono condurre anche alla guarigione della malattia primaria, com’è il caso della pratica di Epidurolisi endoscopica (per rimuovere cicatrici nel canale vertebrale o ampliare spazi stenotici dello stesso), oppure per contenere la sensazione dolorosa mediante modulazione del segnale neuromediato, come le tecniche di neurostimolazione periferica o spinale e quelle di neuromodulazione spinale (che contemplano l’utilizzo, in termini di efficacia, di un cosiddetto “Pacemaker del sollievo” cioè un generatore di impulsi che viene posizionato a permanenza sotto la cute del paziente generando così un beneficio prolungato). Le terapie del dolore di tipo invasivo comprendono procedure che possono essere applicate ab inizio in virtù della loro caratterizzazione di efficienza a fronte di una malattia reversibile, oppure come pratiche da riservare alla fase di malattia in cui si è consolidato uno stato doloroso permanente non reversibile e che necessita, quindi, di un trattamento costante con strumentazione finalizzata alla modulazione della percezione del dolore.

Cannabis terapeutica

I cannabinoidi sono i principi attivi contenuti della cannabis e la loro efficacia farmacologica nell’alleviare il dolore è stata provata da diversi studi.
I medicinali che li contengono sono indicati per ridurre i sintomi nelle malattie caratterizzate da dolore cronico persistente che non hanno ottenuto beneficio con altre terapie, anche invasive.
Si tratta spesso del cosiddetto dolore centrale (un dolore che proviene da danni a carico del sistema nervoso centrale cerebrale o spinale) o periferico (da traumi o avulsioni di segmenti periferici di nervi). I cannabinoidi hanno un evidente effetto analgesico e possono essere eventualmente associati con gli oppioidi o gli anticonvulsivanti permettendo, in tal modo, di ridurne i dosaggi nel trattamento del dolore cronico. Gli effetti collaterali non sono gravi ma non sempre sono tollerati (così come per gli oppioidi). Non è stata riportata alcuna tossicità certa d’organo anche se alcuni studi, ancora controversi, riferiscono un impatto negativo dei cannabinoidi sul sistema nervoso centrale.
L’indicazione ministeriale circa l’utilizzo di questi farmaci inizialmente fu circoscritta al campo della neurologia per l’effetto miorilassante nella sclerosi multipla. Successivamente è stata avanzata l’ipotesi di estendere l’uso della cannabis anche alla cura delle forme di dolore cronico refrattario di origine reumatologica (come per esempio la fibromialgia), al morbo di Crohn, all’asma bronchiale, al glaucoma, ad alcune forme di epilessia resistenti ai farmaci. Ad oggi non vi sono però dati di letteratura precisi sull’utilizzo della cannabis in queste forme di dolore cronico.
La situazione attuale italiana (seppur dal 2007 decreti ministeriali abbiano autorizzato l’uso della cannabis terapeutica), resta incerta a livello delle singole regioni. L’uso terapeutico della cannabis ha ottenuto nei primi mesi del 2016, da parte della commissione ministeriale, una ulteriore precisazione sulle indicazioni di
utilizzo in alcune patologie, tra cui quelle dolorose con caratteri neuropatici e molte regioni si stanno adeguando per autorizzarne la dispensazione gratuita tramite i propri servizi farmaceutici o in delega esterna.
Purtroppo in alcune regioni italiane ancor a oggi il costo del farmaco è a carico del paziente. I sistemi sanitari regionali godono, infatti, di una certa autonomia ed è quindi possibile per le regioni fare singole leggi per regolamentare, con maggior dettaglio, l’utilizzo della cannabis terapeutica.
Le regioni possono quindi decidere l’eventuale rimborso dei farmaci e le modalità di somministrazione. Attualmente le regioni italiane che hanno disciplinato l’utilizzo della cannabis per uso terapeutico sono l’Abruzzo la Puglia, la Toscana, la Liguria, il Veneto, la Lombardia, il Piemonte e l’Emilia-Romagna.

Terapia non farmacologica

La terapia antalgica non farmacologica comprende molti tipi d’intervento diversi fra loro.
In base alla metodologia d’intervento si possono suddividere i metodi psicologici (di supporto, cognitivocomportamentali) e fisici (agopuntura, massaggio, fisioterapia). Alcune terapie agiscono sui sistemi sensitivi che bloccano la progressione dello stimolo doloroso, mentre altre attivano i meccanismi nervosi centrali e/o periferici che inibiscono la nocicezione. Le tecniche non farmacologiche per il trattamento del dolore comprendono: la radioterapia, l’elettrostimolazione nervosa per via transcutanea (TENS), l’agopuntura, l’ipnoterapia, le tecniche di rilassamento, l’attività fisica dolce e di movimento (stretching, yoga, pilates etc).
Come per tutte le tipologie di trattamento, per le tecniche non farmacologiche è fondamentale confrontarsi e parlarne con il proprio medico e decidere insieme quale percorso intraprendere.