La storia di Valeria: “Lotto contro un mostro invisibile”
Qualche giorno fa Valeria ci ha raccontato la sua storia, che non potevamo non condividere. Una storia di grande dolore ma anche di estrema consapevolezza e forza, nonostante la sua giovanissima età. Ci scrive, infatti, Valeria: “Ho deciso di scrivere la mia storia nella speranza che possa essere di ispirazione a qualcuno, perciò mi farebbe molto piacere se decideste di pubblicarla. Vorrei che raggiungesse il pubblico corretto, per questo mi sono rivolta a voi”. Ringraziamo Valeria certi che sarà davvero di aiuto per tanti altri ragazzi e giovani come lei e siamo e saremo sempre al suo fianco in questo suo difficile e coraggioso percorso.
“È arrivato il momento di raccontare la mia storia, dopo cinque anni da quando tutto è iniziato.
Il 4 ottobre del 2018, la mia vita è stata completamente stravolta. A seguito di un esercizio di danza, ho avuto un distacco parcellare e una diastasi dell’osso pubico.
Un nome bello complicato, tanto quanto lo è stato a livello clinico. Nessuno sapeva curarlo, nessuno sapeva come intervenire. Mi hanno imposto riposo completo per quattro mesi, senza potermi alzare dal letto neanche per mangiare. A 14 anni bloccare la propria vita in questo modo, senza neanche poter andare a scuola, non è sicuramente facile, ma io l’ho affrontata molto bene, forse perché non sapevo ancora cosa mi sarebbe capitato dopo.
Senza essere in alcun modo consapevole dell’esistenza del dolore cronico, ho iniziato a svilupparlo. Urlavo dal dolore ogni notte, i farmaci non mi facevano nulla e, ormai, avevo disimparato anche a camminare. Inoltre, siccome i medici non sapevano come intervenire, hanno iniziato ad utilizzarmi come cavia, facendomi sperimentare diversi tipi di terapia (esempio: laser terapia, idroterapia ecc.) e nulla di ciò ha funzionato, bensì ha solo contribuito a staccare ulteriormente la parte di osso che con fatica cercava di riattaccarsi.
Il colmo è stato quando ortopedici di fama internazionale mi rispondevano: “Non so cosa dirti, non so perché tu non riesca a guarire”, mentre il mio medico curante (non specializzato sicuramente in ortopedia) è riuscito ad aiutarmi più di chiunque altro, comprendendo che il dolore era soprattutto di tipo neuropatico e cronico e che, di conseguenza, necessitava di farmaci più specifici e forti quali il Pregabalin. Questo non perché lui fosse appunto esperto del problema, ma semplicemente perché era stato l’unico a guardarmi con occhi diversi, ossia ascoltando la mia sofferenza, comprendendola e credendo in ciò che dicevo, non sminuendo in nessun modo la mia condizione e non focalizzandosi solo sull’aspetto anatomico. Da quel momento, mi sono affidata solo a dottori che si interessassero fortemente al mio benessere, a prescindere dalla loro specializzazione, e abbandonando e ignorando tutti quelli che mi dicevano che non avevo niente o che ero pazza, perché mi provocavano solo sofferenza emotiva e spese inutili.
Uno dei periodi più bui è arrivato quando la mente ha lanciato il segnale di allarme più grande, ossia che stava crollando e non ce la faceva più. A quel punto, è diventato tutto più difficile, perché ero visibilmente stanca della sofferenza fisica e di tutte le persone intorno a me, anche molto vicine, che non riuscivano a comprendermi e sminuivano il mio problema, spesso cercando di obbligarmi a fare movimenti che mi creavano dolori atroci, solo perché pensavano: “Se vuoi guarire, lo fai e basta”.
Andando avanti per così tanto tempo a lottare da sola contro un mostro invisibile, il mio stato d’animo è peggiorato a tal punto da portarmi ad avere crisi e a crollare in una trappola di pensieri negativi e brutte emozioni amplificate. Sono stata in cura da una psicologa, che anziché aiutarmi mi ha messo contro i miei genitori e mi ha dato della pazza, peggiorando la mia condizione. Non riuscivo a vivere più bene niente, anche la scuola per me era diventata una fonte di ansia e paura. Però, il sole ritorna sempre, infatti ho trovato un’altra psicologa con cui ho iniziato la terapia EMDR (indicata proprio per chi soffre di dolore cronico) e piano piano sono tornata ad essere la ragazza spensierata, solare e vivace di sempre.
Con il Covid, ho avuto occasione di rimettermi in pari con gli altri coetanei, perché era come se il tempo si fosse bloccato per tutti. Prendendo oppiacei molto forti sono riuscita ad allenarmi nel camminare e muovermi di più (tutto da sola, visto che nessuno ai tempi sapeva dirmi cosa fare e cosa non fare, mi dicevano di gestirmela da sola in base alla reazione del mio corpo) e, così facendo, la percezione del dolore si è nel tempo abbassata fino a scomparire.
Sono riuscita a vivere un anno e mezzo come una persona quasi sana, avevo solo ricorrenti infiammazioni nella zona, che per fortuna dopo pochi giorni di cura antinfiammatoria sparivano, permettendomi di riprendere in mano gran parte della mia vita.
Ma, purtroppo, al destino è piaciuto farmi ancora uno scherzo. Il 2 luglio 2022, da un giorno all’altro, mi è comparso nuovamente il dolore, che è aumentato a dismisura, senza comprendere perché, spostandosi in zone più vaste. Ho vissuto tutto il mio incubo da capo: medici che non capivano cosa avessi, persone intorno a me che non mi credevano, io che non sapevo cosa stesse succedendo al mio corpo.
Per fortuna, avendo già avuto a che fare con il mostro invisibile (così chiamo il dolore cronico), sono riuscita a gestirlo meglio e mi sono affidata a medici più competenti.
La terapia del dolore è stata per me una rivoluzione, perché anche se continuavano a non capire il problema, sono stati talmente empatici nei miei confronti da non farmi dubitare mai di ciò che soffrivo e mi hanno aiutata in tutti i modi.
Sono stata sottoposta a procedure atroci, che peggioravano la situazione, ma avere comunque dottori che facevano di tutto pur di vederti stare bene è stato meraviglioso.
Infatti, proprio loro, dopo ormai un anno quasi di sofferenza, hanno deciso di indirizzarmi verso un ortopedico specializzato in bacino e colonna, che a sua volta mi ha mandata a fare una risonanza dinamica, una delle poche esistenti in Italia, che ha evidenziato il problema: instabilità dell’articolazione sacroiliaca, completamente staccata per insufficienza legamentosa. Questo avveniva solo in fase di carico, quindi la risonanza statica non lo aveva evidenziato.
La spiegazione è stata che, mentre io pensavo di essere quasi guarita nel periodo in cui ero stata meglio, la mia sacroiliaca si stava piano piano distaccando dalla sua sede. Questo capita spesso con fratture al bacino come la mia, prima si rompe la parte davanti e poi, progressivamente, la parte dietro. Sicuramente, se i medici fossero stati più esperti a riguardo, mi avrebbero potuto avvisare prima del problema, così da evitare torture inutili, dolori lancinanti, spese e continui dubbi su cosa fare. Purtroppo, l’articolazione sacroiliaca e, in generale, le fratture al bacino, non sono particolarmente conosciute dalla maggior parte del personale sanitario, anche perché prima del 2010 non si credeva neanche che l’articolazione sacroiliaca potesse creare problemi di questo tipo.
12 maggio 2023: il giorno migliore della mia vita. Non perché avessi avuto una buona notizia, ma perché il referto della risonanza era positivo e ciò significava sapere quale problema mi causasse questo dolore atroce, che non mi permetteva nuovamente di alzarmi dal letto. Tutti intorno a me si sono arrabbiati con i medici perché non lo avevano capito prima, ma per me era solo un gridare che avevo ragione io a tutti quelli che avevano nuovamente dubitato di ciò che sentivo, prendendomi ancora una volta per pazza. Avevo dimostrato che la cosa più importante è credere sempre nel proprio dolore e non mollare mai per trovare una soluzione per stare bene, per trovare un benessere che tutti ci meritiamo.
23 giugno 2023: intervento di artrodesi sacroiliaca. Mi hanno impiantato tre perni di titanio nel bacino, per bloccare l’articolazione. Un bel lavoretto, con risvolto per fortuna positivo.
Meccanicamente, il problema è risolto. Ma il dolore? Il dolore c’è ancora e ci sarà probabilmente per molto tempo. Questo perché avendo dolore cronico, la sensibilizzazione ormai è talmente elevata, che il sistema nervoso percepisce come dolorosa qualsiasi innocua cosa. Per questo, sono stata indirizzata da un fisioterapista esperto di dolore cronico, che non mi fa fare esercizi massacranti solo per rimettermi in piedi nel minor tempo possibile, bensì lavora con piccole sensazioni per riallenare il sistema nervoso a non sentire più come dolorosi gli stimoli. È un percorso lungo sicuramente ed è anche difficile spiegare a chi non è esperto che con un dolore cronico non basta sistemare il problema anatomico per stare bene. Una volta che il sistema nervoso si ammala, lo si deve curare con tempistiche molto più lunghe rispetto a gran parte delle problematiche fisiche. Sembra una cosa molto astratta lo so, ma funziona così. E pensare che ci sono addirittura dolori cronici che non sono causati da qualcosa di fisico, bensì sono una malattia a sé stante. Ebbene sì, il dolore persistente non è un sintomo, è una malattia. Ed è ora che se ne parli, che si informino persone comuni, medici e chiunque altro per rendere visibile l’invisibile, per poter spiegare quanto un dolore tale distrugga ogni aspetto della vita di una persona, quanto incida sugli aspetti biopsicosociali e quanto, quindi, debba essere curato da tutti i punti di vista, con un approccio multidisciplinare.
Gli oltre 100 milioni di europei che ne soffrono meritano riconoscenza, meritano comprensione, meritano di sapere che si sta lavorando per comprendere questa malattia e, soprattutto, per intervenire, diagnosticarla e curarla quanto prima possibile. Nessuno merita di non vivere, perché questa non è vita. Pianificare la propria giornata in base al dolore, dover stare bloccati a letto (almeno nel mio caso) senza potersi alzare, senza poter vedere la luce del sole o respirare aria fresca, senza incontrare persone. Dover temere di provare dolore anche per i gesti più banali (esempio: fare la doccia) e rinunciare a tutto e, quando dico tutto, intendo proprio tutto! Meritiamo di vivere con la stessa spensieratezza delle persone sane, vivere tutte le esperienze che servono per crescere (nel caso delle persone giovani come me, che hanno rinunciato all’adolescenza) senza limitarsi in niente.
Ho deciso di raccontare la mia storia, non ancora terminata, per far sapere a chiunque soffra che non sono da soli, che io credo in loro e che voglio che lottino come ho fatto io per trovare benessere, per cercare di stare meglio e capire quale sia il problema. Per far sì che ignorino chiunque dica che non guariscono solo perché non vogliono farlo e per far sapere che ritroveranno la luce. Bisogna solo avere pazienza, essere motivati e cercare il lato positivo anche laddove sembra non esserci. Sembra impossibile, ma non lo è. Bisogna essere fieri di lottare contro un demone che, è vero, vi devasta, ma al tempo stesso vi rende forti e consapevoli di come funziona il vostro corpo e di come il corpo debba sempre essere ascoltato.
Inoltre, dedico col cuore la mia storia a tutti coloro che vorranno informarsi a riguardo, capire che conoscere certe problematiche può aiutare fortemente chi ne soffre ad affrontarle meglio, a chiedere aiuto, a non vergognarsi o sentirsi pazzo e, si spera, anche a trovare in futuro un modo per curarlo in maniera più rapida ed efficace”.
A Valeria e ai tanti pazienti coraggiosi come lei, Fondazione ISAL dedicata la prossima edizione di “Cento Città contro il Dolore” che si svolgerà domenica 1 ottobre 2023 nelle piazze di tutta Itali e avrà per titolo: “Dolore cronico. Le ombre della cura, i bisogni da garantire”. Leggi l’articolo sull’evento per avere maggiori informazioni e per partecipare.
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Pubblicato nel sito dell’Associazione Italiana per lo studio del dolore. (www.aisd.it)