Che cosa è il dolore cronico

Il dolore cronico è definito come il “dolore che si protrae oltre i tempi normali di guarigione di una lesione o di un’infiammazione, abitualmente 3-6 mesi, e che perdura per anni”.
Il dolore cronico è stato riconosciuto come una vera e propria patologia in sé per le conseguenze invalidanti che comporta per la persona che ne soffre, dal punto di vista fisico, psichico e socio-relazionale; esso infatti compromette qualsiasi attività quotidiana generando depressione, senso di sfiducia e malessere.
Mal di schiena, emicrania, endometriosi, vulvodinia, fibromialgia, artrosi, nevralgie, esiti da trauma, herpes zoster, sono solo alcuni nomi di malattie caratterizzate dalla presenza di dolore cronico che, se non viene diagnosticato e curato in modo adeguato, non abbandona più le persone che ne sono colpite e che devono viverne la sofferenza.
Il dolore cronico interessa tutte le fasce d’età con una maggiore prevalenza nelle donne ed è stato riconosciuto come una delle cause principali di consultazione medica.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha identificato come uno dei maggiori problemi mondiali di salute pubblica.
In Italia la Fondazione ISAL ha contribuito al riconoscimento del dolore cronico come patologia. Oggi la Legge n. 38/2010 permette ai cittadini di ricevere cure adeguate per il dolore cronico tramite il Servizio Sanitario Nazionale.

Impatto sociale

Uno studio condotto nell’ambito della medicina di base in 14 diversi Paesi (indagine dell’Organizzazione Mondiale della Sanità svolta già negli anni ’90), aveva indicato che il 22% della popolazione visitata riferiva una condizione di dolore che persisteva da più di 6 mesi. Una revisione sistematica del 2010, effettuata su quattro studi internazionali, ha stimato cha la prevalenza del dolore cronico di qualsiasi tipo e grado varia dal 10,5% al 55,2% nella popolazione generale.

Secondo gli ultimi dati del Rapporto del Consiglio dell’U.E. sulle malattie croniche e sul ruolo del dolore, in Europa la prevalenza del dolore cronico è compresa tra il 16% e il 46%; ciò significa che circa 80 milioni di europei sono affetti da dolore cronico moderato-grave.

In Italia questa prevalenza raggiunge il 26% della popolazione: 13 milioni di persone soffrono di dolore, di queste il 40% non è a conoscenza di centri specialistici ai quali rivolgersi per il trattamento del problema presentato seppur un 90% delle sindromi dolorose preveda una cura da cui trarre giovamento.

L’Italia risulta essere al terzo posto, dopo Norvegia e Belgio, per quanto riguarda la prevalenza del dolore cronico ed è al primo posto per quanto riguarda la prevalenza del dolore cronico severo, che ha una incidenza del 13% sul totale.
Analizzando la prevalenza del dolore cronico in Italia per Regioni, emerge inoltre una percentuale maggiore al Nord-Ovest, con il 27.7%, mentre la più bassa è a Sud, dove comunque si attesta un 21.7%.

In media, le persone colpite da dolore cronico vivono in uno stato di sofferenza continua per almeno 7 anni, ma per quasi un quinto di loro questo periodo si estende ad oltre 20 anni.

Recenti indagini hanno rilevato, inoltre, che le persone con dolore cronico vagano nel labirinto della sanità, pubblica e privata, per una media di 4,5 anni prima di arrivare a un centro specialistico di terapia del dolore.

Il 21,2% dei pazienti non sa a chi rivolgersi; è disorientato nel sistema delle cure e addirittura non è a conoscenza dell’esistenza di un Centro per il trattamento del dolore (7,1%). Dagli stessi dati si può osservare che il lungo tempo di malattia li ha indotti a consultare numerosi specialisti, a subire parecchi interventi, a tentare la cura con svariati farmaci, provando i più diversi effetti indesiderati e complicanze aggravanti.

Questa continua ricerca di una cura genera un profondo stato di malessere e ha anche un costo per la persona: circa 750 euro annui, una spesa che non garantisce sempre il beneficio delle cure e che, alla luce delle odierne difficoltà economiche, determina anche un forte disagio sociale.

Il dolore cronico ha un peso anche sull’economia nazionale: il costo sociale medio annuo per ogni paziente è di almeno 4.557 €, di cui 1.400 € per i costi diretti a carico del Sistema Sanitario Nazionale (farmaci, ricoveri, diagnostica) e 3.156 € per costi indiretti (giornate lavorative perse, distacchi definitivi dal lavoro etc.). Chi soffre di dolore cronico perde, spesso, il lavoro oppure è costretto a cambiarlo o a cambiare
mansione.

È stato stimato che almeno il 22% della popolazione colpita da dolore cronico soffre di depressione e ansia a causa delle limitazioni causate da una quotidiana sofferenza. Chi soffre di dolore cronico vede infatti compromesse le sue relazioni familiari, sociali e interpersonali provando così un grave senso di malessere e sfiducia verso il presente e il futuro.

Dolore nell’adulto

Secondo la IASP (International Association for the Study of Pain) il dolore è “un’esperienza sensoriale ed emotiva spiacevole, associata ad un danno tessutale effettivo o potenziale o comunque descritta come tale”.
Il dolore, dunque, è sempre soggettivo ed ogni individuo ne apprende il significato per mezzo delle proprie esperienze cognitive correlate ad una lesione (“danno tessutale”) durante i primi anni di vita.
Essendo un’esperienza spiacevole il dolore non è quindi solo un fenomeno sensoriale; esso è il risultato della sommatoria di una componente percettiva (la nocicezione) che costituisce la modalità sensoriale che permette la ricezione ed il trasporto al sistema nervoso centrale (midollo spinale e cervello) di stimoli potenzialmente lesivi per l’organismo e di una componente cognitiva (del tutto personale) rappresentata dallo stato psichico collegato ad una sensazione spiacevole.
Precisando ulteriormente possiamo affermare che la componente percettiva è costituita da un circuito di tre (o più di tre) cellule nervose (neuroni) che convoglia lo stimolo doloroso dalla sede di percezione al cervello.
La componente cognitiva, invece, è responsabile della valutazione critica dello stimolo doloroso e coinvolge la corteccia cerebrale ed in particolare una ben definita rete associativa di cellule nervose (la formazione reticolare) e consente di discriminare l’intensità, le caratteristiche qualitative ed il punto di provenienza dello stimolo nocivo.
È consuetudine classificare il dolore come acuto e cronico in base alla persistenza temporale.
Il dolore acuto è legato alla presenza della lesione tessutale, ha un momento di insorgenza ed un momento di risoluzione. Il dolore cronico invece, una volta insorto, tende a proseguire indefinitamente nel tempo.
Il dolore acuto è finalistico, è un sintomo vitale giacché rappresenta un segnale d’allarme per una lesione tessutale in atto o potenziale ed è essenziale per evitare un pericolo o limitare un danno all’organismo.
Il dolore cronico non è finalistico e deve la sua caratteristica di proseguire nel tempo al fatto che la causa che lo ha generato non è più risolvibile; inoltre le caratteristiche biochimiche e fisiologiche di generazione e di mantenimento sono del tutto diverse dal dolore acuto.
Il dolore cronico è dunque una malattia a sé stante che può legarsi a tre situazioni diverse:

– malattia cronica in cui il dolore è strettamente legato alla malattia stessa;
– malattia cronica in cui il dolore deriva da meccanismi fisiopatologici propri oltre che da quelli generati
dalla malattia;
– dolore prodotto da meccanismi completamente estranei alla causa della malattia;

Una volta distinto il dolore in acuto e cronico è importante valutarne le caratteristiche in modo da stabilire se esso derivi dal nocicettore (il recettore specifico in grado di trasformare il segnale fisico doloroso in segnale elettrico nervoso), oppure da un’alterazione funzionale del sistema nervoso legata ad origini diverse.
Nel primo caso si parla di dolore nocicettivo, nel secondo di dolore neuropatico.

Essendo completamente diverse le cause, è facilmente comprensibile come le terapie possano e debbano essere diverse al fine di risultare efficaci.
Lo stato di perdurante sofferenza nel tempo di quanti soffrono di dolore cronico dipende spesso da una diagnosi non corretta del problema presente e dalla somministrazione di una cura inadeguata.
Il dolore cronico, se precisamente valutato e identificato da una medico esperto in terapia del dolore, nella maggioranza dei casi può essere notevolmente alleviato e non essere più una “inesorabile condanna che sconvolge l’esistenza”, come ebbe a dire un paziente.
Prof. Gianvincenzo D’Andrea,
Vicepresidente Fondazione ISAL