Gli italiani chiedono cure per il dolore cronico, ma non sanno a chi rivolgersi
Chiedono che il dolore cronico vada curato, ma spesso non sanno che esistono dei centri specialistici a cui rivolgersi. Hanno meno pregiudizi verso gli oppiacei, anche se considerano gli antinfiammatori come i farmaci di riferimento. È questa l’immagine degli italiani di fronte al dolore, scattata dalla Fondazione ISAL attraverso l’analisi del questionario proposto lo scorso ottobre, in occasione della seconda Giornata nazionale contro il dolore cronico, e presentato con una relazione al Parlamento.
Distribuito in 54 città italiane grazie all’impegno dei volontari delle 34 associazioni territoriali Amici di ISAL, di Cittadinanzattiva e di altre 19 onlus, e compilato da 5.500 persone, il questionario aiuta a capire quanto sia presente il dolore nella vita degli italiani e quale sia la loro consapevolezza sulle terapie e i centri di cura disponibili. “I risultati indicano come sia cambiato l’atteggiamento verso il dolore e la cura – spiega il professor William Raffaeli, presidente della Fondazione ISAL –. I giovani, in particolare, chiedono un sollievo immediato, a prescindere da quale sia la causa del dolore, e non hanno più tabù verso l’uso degli oppioidi. Maggiori resistenze, invece, rimangono da parte degli anziani”.
Basta sofferenza. Il 63% della popolazione (con punte dell’80% tra 30 e 50 anni) ritiene infatti che il dolore vada curato in ogni caso, anche prima di una diagnosi che ne individui le cause. Solo per il 6% il dolore va trattato esclusivamente in caso di tumori, mentre il 2% afferma che le persone con dolore non necessitano di cure mediche.
Antinfiammatori e oppiacei. Gli antinfiammatori sono ritenuti dal 39% i farmaci più utili, seguiti dal paracetamolo (24%). “Questo dato evidenzia quanto siano necessarie una educazione civica e una adeguata formazione sanitaria sul tema dell’appropriatezza degli analgesici – continua Raffaeli –. Un dato incoraggiante viene invece dal terzo posto occupato dagli oppiacei e dalla mancanza di ‘oppiofobia’ nella fascia d’età tra i 30 e i 50 anni”.
Risponde infatti “sì” il 53% degli intervistati alla domanda se prenderebbe morfina in caso di un dolore forte che non passa col tempo, a cui si aggiunge un 13% che lo farebbe, ma solo per un dolore oncologico. Si dichiara invece contrario agli oppiacei il 38% degli over 70.
Il mal di schiena. La Fondazione ISAL ha voluto sondare anche l’incidenza del dolore al rachide, che rappresenta uno delle patologie più diffuse. La conferma arriva dal 77% di italiani di tutte le età che risponde di avere (o di avere avuto) mal di schiena. Tra questi, il 18% ne soffre più volte all’anno e il 15% in maniera continuativa, percentuale che sale al 23% nella fascia da 50 a 70 anni. Non solo, il 76% dichiara di conoscere qualcuno che ha gravi problemi alla schiena.
Il dolore cronico come malattia. Il 45% degli italiani è anche consapevole che esiste un dolore cronico che non dipende da alcuna causa evidente e che è una malattia in sé. Ben più ampia (84%) la fascia della popolazione sensibile alle conseguenze che il dolore cronico può avere sulla qualità della vita, come insonnia, stress, depressione e perdita del lavoro.
I centri di cura, questi misconosciuti. Gli italiani, insomma, sono sensibili verso il dolore, spesso ne soffrono e chiedono di essere curati. Risulta per questo grave la disinformazione sui centri di terapia del dolore presenti dalla Sicilia alla Val d’Aosta, come previsto dalla legge 38 del 2010. Il 35% degli italiani ne ignora infatti l’esistenza, il 42% ne è venuto a conoscenza da amici e parenti, solo il 23% dal medico di famiglia.
“Serve più informazione da parte delle istituzioni per far conoscere ai cittadini la rete nazionale per la terapia del dolore – conclude il presidente della Fondazione ISAL –. Ma serve anche una maggiore disponibilità da parte di medici a fare fino in fondo il loro lavoro, indirizzando chi soffre verso centri specialistici e cure appropriate”.