AssociazioneFibromialgiaLe storie di ISAL

Giornata della Fibromialgia. La storia di Deborah: “A volte alzarsi la mattina è come scalare l’Everest. Ma non perdo la speranza”

Ha 35 anni, dei magnifici capelli rossi, ama la birra e studia teologia a Roma.

Deborah Sutera, campana di origini, è tutto questo ma anche molto di più, capace di far coesistere nella sua vita tanti e diversi aspetti dell’umano.

Un corpo esile e fragile ma anche un cuore grande e generoso, una mente aperta e brillante.

Da diversi anni Deborah convive con una diagnosi di fibromialgia.

In questo 12 maggio, Giornata mondiale della Fibromialgia, ISAL ha deciso di raccontare la sua storia.

Deborah, come hai ricevuto la diagnosi di fibromialgia e qual è stato il percorso per diagnosticarla?

È stato un percorso tutto in salita, ci sono voluti circa quattro anni per avere una diagnosi, dopo tante visite anche ortopediche. Solo una reumatologa specializzata in fibromialgia al Centro Fibromialgici di Pisa è riuscita ad arrivare alla diagnosi, poi confermata anche dall’Ospedale di Reggio Emilia, sempre nel reparto specializzato in questa patologia.

Quali sono le principali difficoltà che ti ritrovi quotidianamente ad affrontare?

Le difficoltà che affronto nel quotidiano sono di due tipi: quelle legate al dolore vero e proprio e quelle che sono conseguenza di limiti istituzionali. Il secondo aspetto rende ancora più pesante il primo. Il mio corpo mi rende necessario ogni giorno affrontare delle grandi sfide: dall’alzarmi dal letto la mattina – che alcuni giorni per me è come scalare l’Everest – fino alle attività di vita quotidiana (fare la spesa, lavare i capelli…), che una persona senza fibromialgia affronta senza fatica. È molto difficile avere un sostegno mirato sia a livello di terapie specializzate a lungo termine che sul piano sociale. Ho 35 anni e sono consapevole di avere un corpo dolorante come una persona di 80 anni, ma non è facile dire agli altri cosa questo significhi. Anche un’uscita con le amiche per me non è scontata, ma non sempre gli altri riescono a capire, e cresce così anche il senso di solitudine. È come se avessi delle “protesi invisibili”: gli altri non le vedono ma per me è tutto più arduo. Arrivare alla fine della giornata mantenendo alta la speranza a volte è faticoso, ma non voglio perdere la capacità di fare progetti ed esprimere desideri. Per questo è urgente parlare sempre di più di questa patologia perché anche gli altri possano sempre di più comprendere e accogliere il nostro dolore. Non possiamo essere soli e invisibili.

Cosa pensi ti sarebbe utile e potrebbe essere utile ai pazienti, oggi, per stare meglio?

È assurdo che ad oggi non ci siano aiuti statali reali ed efficaci per noi pazienti: la nostra è un’invalidità vera e propria, eppure non abbiamo accesso a nessun tipo di agevolazione economica e non abbiamo diritto a nessuna cura. Questa sfida rende tutto ancora più complesso e disumanizzante. Abbiamo bisogno che si aprano possibilità di accesso per i pazienti a percorsi terapeutici convenzionati: cure termali, fisioterapia e osteopatia, convenzioni per palestre, esenzioni per farmaci e integratori… È un vuoto sanitario molto forte quello che viviamo. Potrebbero essere utili anche dei “simboli” visibili che ci aiutino a far sapere che abbiamo una patologia invalidante. Anche una semplice spilla viola da indossare potrebbe, ad esempio, rendere più facile farci avere un posto a sedere su un mezzo pubblico. Un altro lavoro importante è quello di informazione e sensibilizzazione (per questo vi ringrazio per questo spazio) e garantire percorsi di psicoterapia e attività di formazione rivolte non solo ai pazienti ma anche a familiari, amici, personale sanitario.

Come la tua passione per la scrittura e in particolare per la poesia ti aiutano a vivere il dolore?

La scrittura mi aiuta a parlare del dolore per immagini e senza perdere la speranza, cercando una strada di vita nel dolore. È come se il mio corpo fosse una grande mappa: ogni tendine o muscolo che mi fa male è crocevia esistenziale. Uso spesso come immagine per raccontare il mio dolore quella di tante frecce che mi conficcano la carne. Ma nonostante le frecce io sono viva. Ferita, ma viva.

Cosa consiglieresti ad altri pazienti nella tua stessa situazione?

Sembra strano, ma il primo consiglio è quello di arrendersi: dobbiamo alzare bandiera bianca, proclamare la resa davanti alla fibromialgia. Dobbiamo permettere a noi stesse/i di fermarci e sentire il nostro dolore. Ma tutto non può finire nella resa: a questo punto inizia la nostra nuova resistenza. Una resistenza autentica, umana, misurata sulla realtà. È un gioco di equilibri: possiamo osare in certi momenti, dobbiamo fermarci in altri. Non dobbiamo però permettere alla fibromialgia di sovrastare la nostra vita. La fibromialgia per me è come una “sorella” che devo tenere per mano e portare sempre con me. Anche piccole cose possono aiutare. Io, ad esempio, che sono una studentessa mi aiuto con piccoli gesti: studiando a letto invece che alla scrivania, con lunghi bagni caldi, musica rilassante e poche amicizie fidate. Resa e resistenza coesistono nella mia vita e mi permettono di andare sempre avanti e vivere in maniera il più possibile dignitosa.

Non possiamo che concludere questa lunga, appassionata e preziosissima intervista proprio con una delle poesie di Deborah, che ringraziamo di cuore, e che siamo certi farà del bene a tanti e tante di voi. Per seguire il lavoro di scrittura di Deborah Sutera vi invitiamo anche a visitare la pagina Facebook (e account Instagram) da lei curata: “Un canto nella notte – Per una teologia della vita”.

Frecce acuminate

conficcate

nella carne

mi trapassano

sorde

di parte in parte

e nessuno può estrarle.

 

Eppure

sgorgano canti

dalle segrete del cuore,

lacrime dagli occhi

d’ineffabile Amore.

Deborah (Scritta nell’anno 2019)

A cura di Silvia Sanchini

Ringraziamo per le splendide foto: Valentino Petrosino

Se anche tu vuoi sostenere ISAL e la ricerca sul dolore cronico puoi farlo con una donazione sul Conto corrente: IT35Q0885224202032010052645 presso Banca Romagna EST.

Oppure puoi donare tramite PayPal sul nostro sito www.fondazioneisal.it

Se come Deborah sei un/una paziente che soffre di dolore cronico (fibromialgia ma non solo) partecipa al nostro questionario: https://forms.gle/8fcTMoAsUDvzka1q6. Ci aiuterai a raccogliere i bisogni insoddisfatti di chi soffre per fornire in futuro risposte sempre più efficaci.

 

3 pensieri riguardo “Giornata della Fibromialgia. La storia di Deborah: “A volte alzarsi la mattina è come scalare l’Everest. Ma non perdo la speranza”

  • La massima solidarietà per te e la tua triste vicenda, ma ti prego sta lontana dalla birra e dagli alcolici. dal 2010 sono in trattamento con oppioidi per il dolore cronico, essendo poliartrosico, non bevo più un goccio di qualsiasi alcolico da molti anni e per le fasi acute che raggiungono facilmente un livello 7 e oltre non ho praticamente alcuna difesa, in quanto l’ultimo trattamento con antinfiammatori mi ha portato all’ulcera, nè mi è facile contattare la terapia del dolore, ( vivo in basilicata Potenza) abbiamo tempi di attesa di 5/6 per una visita di solo controllo. Speranze non ne ho anzi ho smesso di averne per non crearmi inutili illusioni. Sii più forte di me e mangia meno carboidrati che puoi. Un forte abbraccio Camillo 3392842314

  • Ho inavvertitamente inserito il mio numero di cell. pensando che il mio messaggio andasse solo all’interessata prego chiunque lo legga di farne un uso ragionevole, buoni consigli e suggerimenti sono ben accetti anzi visto che mi sono messo in mostra lascio anche la mia mail camcorona@libero.it e se qualcuno sa qual’è il centro ISAL più vicino a me e come contattarli me lo comunichi , grazie fin d’ora. Camillo

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