Cura del dolore: in Italia la spesa per i Fans e’ 4 volte quella per gli oppiacei
Meno di 140 milioni di euro, contro oltre 500. Questo il rapporto tra la spesa annua in Italia di farmaci oppiacei e quella sostenuta per i Fans descritto dal ministero della Salute in occasione dell’Impact Proactive 2013, il summit multidisciplinare che ha riunito a Firenze istituzioni ed esperti di lotta al dolore.
“Per portare a sistema quanto sancito dalla legge 38/2010, occorre investire sulla formazione della classe medica, in particolare delle nuove generazioni, partendo dai percorsi universitari, e sull’informazione all’opinione pubblica, entrambe da sviluppare in modo sempre più capillare”, spiega Gian Franco Gensini, presidente del comitato scientifico e ordinario di Medicina interna all’Università di Firenze.
Serve anche una maggiore consapevolezza dei cittadini: “Se i pazienti esigono cure efficaci, i medici hanno un imprescindibile sprone a erogarle – continua Gensini –. Parliamo infatti di ‘citizen empowerment’ perché, se molto c’è da fare sul fronte dell’organizzazione sanitaria, molto va fatto anche su quello della condivisione e del dialogo tra medico e paziente. Questo gioca a favore anche dell’appropriatezza terapeutica, perseguibile solo se l’iter di cura è’ tailor-made’. Le sfide aperte sono quindi numerose, non arriveremo a chiudere questi gap in un anno, ma sicuramente il percorso intrapreso va nella direzione giusta per riuscire, con lo sforzo congiunto di tutte le componenti del sistema sanitario, a chiudere il cerchio della lotta al dolore”.
Spesa e appropriatezza. In Italia la spesa annua per i Fans è pari a 518 milioni di euro, con un consumo medio procapite di 8,55 euro, a fronte dei 139 milioni per gli oppioidi, suddivisi tra gli 89 milioni per gli oppiodi forti (1,48 euro pro capite) e i 50 milioni per i deboli (0,83 euro pro capite). La preiscrizione non appropriata di farmaci diventa ancora più pericolosa per i pazienti più fragili, come anziani e bambini.
Dolore pediatrico. “Nonostante il dolore pediatrico sia un sintomo ‘impegnativo’ per il bambino e la sua famiglia, e le terapie oggi disponibili permettano un suo efficace controllo, oggi rimane un problema sottotrattato”, aggiunge Franca Benini, responsabile del Centro regionale veneto di Terapia antalgica e cure palliative pediatriche dell’Università di Padova. “Più dell’80% dei ricoveri ospedalieri pediatrici sono dovuti a patologie che presentano anche dolore; il 60% degli accessi al Pronto soccorso pediatrico è causato da questo disturbo. A livello ambulatoriale la richiesta di valutazione medica è, nel 45% dei casi, legata a sofferenza”.
Dolore geriatrico. Altra tipologia di pazienti particolarmente vulnerabili è quella degli anziani. “Uno dei problemi più rilevanti nella cura del dolore – evidenzia Marco Trabucchi, presidente dell’Associazione italiana di Psicogeriatria – è rappresentato dalle persone che, per un’alterazione delle funzioni cognitive, hanno perso memoria del dolore fisico e non sono in grado di descrivere tipo, localizzazione, durata e gravità della loro sofferenza”.
Oggi in Italia le persone affette da demenza sono circa il 10-12% degli over 65, cioè quindi circa 1-1,5 milioni di cittadini. Di questi, circa il 70-80% ha problemi di dolore nel corso della vita. “A loro si deve rivolgere l’attenzione della medicina, perché la sofferenza venga diagnosticata e poi lenita con adeguati trattamenti – continua Trabucchi –. Spesso ciò non avviene e le persone con demenza devono soffrire ingiustamente. Abbiamo il dovere di porre in atto metodologie diagnostiche innovative, efficaci anche in assenza di una sintomatologia riferita: in chi ha perso la memoria ogni volta il dolore si presenta come un evento nuovo, drammatico e inspiegabile, che induce angoscia”.
Coraggio e impegno. “Non basta un uomo, non basta una legge per sconfiggere il dolore, ma occorre la sensibilità e l’impegno corale di tutti gli addetti ai lavori”, conclude Guido Fanelli, presidente della Commissione ministeriale su terapia del dolore e cure palliative. “Dal punto di vista legislativo e burocratico, abbiamo ormai ogni strumento necessario e anche le Regioni si stanno muovendo con le rispettive delibere. Quello che ora manca per chiudere il gap è il coraggio e la motivazione di chi opera sul territorio. Solo così la Legge 38 non rimarrà un obbligo sulla carta, ma potrà essere davvero applicata nella pratica clinica quotidiana, garantendo ai pazienti un futuro con meno dolore”.