Presentata la proposta per la classificazione del dolore cronico nell’ICD11 dell’OMS.
A presentare l’articolo i maggiori specialisti internazionali del dolore insieme a Rolf-Detlef Treede, Presidente dell’International Association for the Study of Pain (IASP). Il lavoro scientifico propone una classificazione di diverse tipologie di dolore cronico, una classificazione questa formulata in vista dell’ICD-11, l’undicesima versione del Manuale di Classificazione Internazionale delle Malattie prodotto dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità in uscita a Maggio.
Come sottolineano gli autori, nella versione attuale dell’ICD esistono già alcuni codici per le condizioni di dolore cronico, ma queste “non riflettono l’attuale epidemiologia del dolore cronico, né sono categorizzate in maniera sistematica”. Questa mancanza fa sì che, ancora oggi, i numeri delle persone che soffrono a livello mondiale di dolore cronico non siano aggiornati e, di conseguenza, impedisce la messa in atto di pratiche corrette per la gestione del problema, sia a livello di trattamento che in termini di politiche sanitarie. Come evidenziato da più parti, il dolore cronico rappresenta un problema di salute globale, ma finché non avremo a disposizione gli strumenti per valutare l’impatto effettivo di questa tragedia collettiva, non si potranno avanzare richieste efficaci.
Questo il messaggio emerso anche all’incontro PAE a Bruxelles (link), incontro durante il quale lo stesso Treede ha presentato la proposta di modifica.
I nuovi codici per la classificazione del dolore cronico proposti sono sette: dolore cronico primario (chronic primary pain), dolore cronico da cancro (chronic cancer pain), dolore cronico post-intervento chirurgico e post-traumatico (chronic postsurgical and posttraumatic pain), dolore cronico neuropatico (chronic neuropathic pain), malditesta cronico o dolore oro-facciale (chronic headache and orofacial pain), dolore cronico viscerale (chronic visceral pain) e dolore cronico muscolo-scheletrico (chronic musculoskeletal pain).
Come sottolineano gli autori, l’introduzione del dolore cronico primario come diagnosi permetterebbe il riconoscimento di una condizione da cui è affetto un numero enorme di individui e ne favorirebbe anche il riconoscimento clinico, oltre che uno sviluppo delle ricerche per capirne i meccanismi che lo causano.
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