Terapia del dolore cronico

Cannabis terapeutica, in Italia non e’ per tutti

La cannabis terapeutica? In Italia non è per tutti. A raccontare la sua storia è T.P., 50enne della provincia di Forlì-Cesena, che da 4 anni convive con una lesione talamo mesencefalica talmente profonda che non si può intervenire chirurgicamente: “È come una ciliegina perfettamente al centro della mia testa”. La lesione gli provoca un dolore continuo e acuto, che non conosce giorno né notte. Scientificamente, si chiama “dolore neuropatico di tipo centrale” ed è un tipo di dolore che al momento non può essere curato con nessun farmaco. “Ho preso di tutto, dagli antiepilettici agli oppiacei passando per gli antidepressivi: il dolore lancinante persisteva, avevo smesso di dormire la notte e facevo fatica a sostenere le giornate. Il mio fisico poco a poco veniva rosicchiato”.

Benefici sono arrivati solo attraverso la cannabis terapeutica. L’incontro con William Raffaeli, presidente della Fondazione ISAL, ha permesso a T.P di accedere al protocollo della Regione Marche per la somministrazione dei farmaci cannabiniodi, che per le persone con dolore cronico avveniva presso l’unità di terapia del dolore e hospice di Fossombrone. Dopo un ricovero di prassi per tutte le analisi del caso, T.P. nel dicembre 2013 ha iniziato la terapia. “Il mio dolore è diminuito di 2/3 punti, il sonno è diventato più tranquillo: significa vivere meglio e ricominciare anche a lavorare un pochino. Mi sembrava di essere rinato”.

Un no senza giustificazioni. Dopo soli tre mesi, però, è arrivato il blocco della distribuzione del farmaco da parte del servizio farmaceutico. “Ancora oggi non ne sappiamo il motivo, la cosa certa è che decine di pazienti come T.P si sono visti bloccare l’assunzione – dice il professor Raffaeli –. La giustificazione che circolava tra i medici, anche loro attoniti, era che dopo l’entrata in vigore della registrazione di un farmaco cannabinoide per i soli malati di sclerosi multipla, ogni altro uso ne era vietato”. Il professor Raffaeli ha chiesto spiegazioni al ministero della Salute: “La responsabile del procedimento ha chiaramente sconfessato questa interpretazione di vincolo”. Dagli uffici della Regione, invece, silenzio. “Non c’è arrivata nessuna risposta arrivata alle continue sollecitazioni con cui abbiamo chiesto di garantire la continuità di cura almeno a chi avesse già avuto beneficio dalla terapia”, continua Raffaeli.

È stata una dichiarazione di guerra nei confronti dei malati come me – riprende T.P. –. Il sistema burocratico italiano si disinteressa della qualità della vita delle persone con un’aspettativa di vita ancora molto lunga. Trovo questo atteggiamento assurdo: non esistono malati di serie A o B. Chiedo solo di farmi vivere in maniera dignitosa”.

L’inizio della malattia. Il calvario di T.P. è cominciato nel 2011, con la scoperta della lesione talamo mesencefalica grazie a una risonanza per capire l’origine delle fortissime emicranie che lo colpivano quotidianamente: “Dopo qualche mese la lesione si è modificata – un solo millimetro può cambiare tutto –, così dalle emicranie si è passati a una parestesia, quella specie di formicolio fastidiosissimo, prima solo al labbro superiore, poi, nel giro di pochi mesi, all’occhio, alla guancia, al labbro inferiore. In un secondo momento le parestesie si sono trasformate in dolore, soprattutto ai denti. Il nervo trigemino non mi dava pace”.

Il primo periodo di malattia l’ha vissuto in uno stato di totale angoscia, con la sensazione che manchi il terreno sotto ai piedi. Poi, i compromessi forzati. T.P. è musicista e insegnante di musica, con un diploma in strumenti a fiato. Un diploma diventato amaro, suonare senza sensibilità alle labbra è complicato: “Per fortuna suono anche altri strumenti, così mi sono potuto adattare. Insomma, si tratta di un percorso da vivere sotto diverse angolazioni. Perché quello che succede all’inizio si trasforma, e tu non sai mai quello che potrebbe diventare domani”.

Niente cannabinoidi. “Quando ho cominciato ad assumere i cannabinoidi ho sentito gli effetti quasi subito. Una boccettina – sui 300 euro che mi venivano rimborsati – mi durava in media un mese. Dopo la prima somministrazione sono tornato a Fossombrone altre 2 volte perché mi era finita. La quarta volta non è stato più possibile: la Regione Marche mi ha escluso dalla possibilità di utilizzare il farmaco, così come è capitato a tante altre persone che vedevo per la prima volta felici. Quello che è incomprensibile è come la Regione Marche, che è stata tra le prime in Italia a dare l’opportunità di curarsi con la cannabis, ora ne impedisca l’uso per i casi di dolore cronico neuropatico, che è indicato pure dalle linee guida delle Società europee di neurologia”.

Dopo l’interruzione forzata, la qualità della vita di T.P. è peggiorata: “È stato come essere aiutati da qualcuno a rialzarsi e poi essere ributtati a terra”. Ad oggi, solo la moglie e pochi amici sono al corrente delle sue condizioni di salute: “A mio figlio, non ancora maggiorenne, l’ho detto solo parzialmente. I miei genitori non sanno nulla: ho paura di fare loro del male. In ambito lavorativo l’ho detto solo in caso di estrema necessità. Invece, l’ho raccontato molte volte a perfetti sconosciuti, persone con cui, empaticamente, ho scelto di aprirmi”.

L’arte di convivere con il dolore. T.P. ha adottato alcune strategie per difendersi dal dolore: “Cerco di distrarmi e di imparare l’arte di conviverci. La musica è la mia valvola di sfogo. In un certo senso, credo mi abbia aiutato a sublimare alcuni aspetti della vita. È una delle mie pochissime vie di fuga, che mi fanno smettere, anche solo per un momento, di pensarci. Perché se ti lasci sopraffare, arrivi a fare pensieri davvero molto brutti. Un po’ di umanità la percepisci intorno a te, ma senti anche sempre il suo limite: il mio è un dolore difficile da far comprendere e trasmettere, per questo poco considerato”.

Il professore Raffaeli dell’ISAL è stato l’unico ad aiutarmi, dandomi indicazioni e orientandomi. Senza di lui, sarei stato solo in questa lotta, fatta eccezione per mia moglie ovviamente. Noi malati di dolore cronico siamo una ‘categoria’ fantasma, forse è anche colpa nostra che non riusciamo a organizzarci. Per questo ritengo così importante raccontare la mia storia, perché se ne deve parlare. Regioni  e Stato devono capire che i benefici dei cannabinoidi non sono solo legati alla spasticità, ma anche al dolore neuropatico centrale”.

Ora, T.P. non assume più nulla: “Per 3 anni mi sono imbottito di tutto, come fossi una pattumiera. Nessun risultato, se non gli effetti collaterali. Adesso basta, tanto nessuno farmaco può far nulla per il mio dolore. In attesa che lo Stato si passi una mano sulla coscienza e capisca il nostro disagio, io voglio accettare la mia condizione. Se non lo facessi, rischierei di rinunciare a una fetta di vita: mia moglie, mio figlio, non possono pagare questo conto. Voglio attrezzarmi per vivere bene, con tutto il cuore”.

Una burocrazia indifferente. “Questa è l’Italia dei mille burocrati – conclude il professor William Raffaeli –. Nonostante il ricorso terapeutico alla cannabis sia legittimo sin da un decreto ministeriale del 2007, nella realtà solo in pochi riescono a usufruirne perché ci sono troppe differenze tra le Regioni che ne hanno regolamentato l’uso. Ed è incomprensibile che non ne sia permesso l’uso a chi soffre di un dolore cronico neuropatico centrale, che è un tipo di dolore uguale in tutto e per tutto a quello che provano le persone con sclerosi multipla”.

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