Terapia del dolore cronico

La storia di Monica: “Mai perdere la speranza”

Mi chiamo Monica e voglio raccontare la mia esperienza, ma soprattutto voglio mandare un messaggio di speranza a tutti coloro che pensano che non ci possa essere una via d’uscita”. Inizia così la testimonianza di Monica, che da oltre vent’anni convive con una forma complessa di cefalea cronica: “Ne soffro da mattina a sera, tutti i giorni dell’anno”. Il dolore alla fronte e agli occhi è fisso, ma nei “giorni no” si irradia al viso, scende lungo le fasce laterali del collo, prende le spalle e arriva al braccio destro, “con fitte talmente atroci che può capirle solo chi le prova”.

I primi attacchi sono iniziati alle scuole medie: “Con gli anni sono diventati più frequenti e violenti – racconta –. Se all’inizio mi bastava riposare un po’, dopo i trent’anni sono gradualmente entrata nelle tenebre e ho conosciuto il lato più oscuro del dolore”. Per Monica è stato come cadere “in un abisso di sofferenze e di sconforto”, con forti ripercussioni sulla vita professionale e relazionale. “Prima facevo un lavoro di fatica, che peggiorava la mia situazione. La mia fortuna è stata poter contare su bravi collaboratori e poter ridurre gli impegni: il mio corpo mi chiedeva di fermarmi, perché il dolore mi paralizzava”.

Negli anni, Monica ha seguito diverse terapie: farmacologiche e chirurgiche, tradizionali, sperimentali e alternative. “Il mio è un caso complesso: c’è chi mi ha detto che il dolore ha natura tensiva, chi trigeminale oppure psicologica, ma probabilmente è una questione genetica, ne soffre quasi tutto il lato materno della mia famiglia”. Di medici ne ha conosciuti parecchi nel suo “giro d’Italia” alla ricerca di una cura. Si è affidata a neurologi, chirurghi, osteopati, agopuntori, pranoterapeuti. “Spesso mi sono sentita come una cavia su cui effettuare freddi protocolli, fatti da statistiche e superficiali, nonché scontate, considerazioni”.

Ma è quando aveva quasi perso ogni speranza che Monica ha incontrato il professor William Raffaeli, allora primario del Centro di terapia del dolore all’ospedale Infermi di Rimini. “Era l’agosto del 2008, Raffaeli è stato il primo e l’unico, di tutti i medici che mi hanno visitata, che ha ascoltato la mia storia e il mio dolore con grande rispetto, cercando di sviscerare e senza dar nulla per scontato. Il suo grande amore per la ricerca e la sua infinita umanità mi hanno dato la speranza di poter credere che forse la mia vita sarebbe cambiata”.

Monica non ha ancora trovato la soluzione definitiva al suo dolore, ma ha imparato a riconoscere per tempo i più piccoli segnali e a gestire al meglio i farmaci. “Il dolore non è più protagonista della mia vita e sto molto meglio rispetto a qualche anno fa”. Monica lavora e ha una vita sociale pressoché normale: “Prima era a zero”. Non vive più nelle tenebre, ma ha iniziato un “nuovo cammino di luce”.

Certo, ognuno ha una storia –  aggiunge –, ma per ognuno ci può essere una cura”. In ogni regione ci sono i centri di terapia del dolore, “anche se purtroppo non tutti li conoscono, medici compresi”. C’è la Fondazione ISAL, “con il suo straordinario staff di ricercatori, medici e operatori, che lotta ogni giorno per trovare e diffondere nuove terapie”. “Spero che le mie parole – conclude Monica – diano forza e speranza, perché la lotta contro il dolore può essere lunga ed estenuante, ma con tanto coraggio e determinazione possiamo vincere”.

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